Blog di Raimondo Schiavone e amici

SUDAN, IL MASSACRO DI EL FASHER: LA GUERRA DIMENTICATA CHE STA DISTRUGGENDO UN PAESE

Nel cuore del Darfur, a El Fasher, si consuma in queste settimane una delle tragedie più gravi e meno raccontate del mondo contemporaneo. La città, ultima capitale statale della regione non ancora caduta, è stata conquistata alla fine di ottobre dalle milizie delle Rapid Support Forces (RSF), dopo mesi di assedio e di combattimenti. Il bilancio è spaventoso: migliaia di civili uccisi, esecuzioni sommarie, ospedali bombardati, interi quartieri dati alle fiamme. Un’ennesima macchia nella lunga e sanguinosa storia del Sudan, ma anche un segnale di quanto il mondo si sia ormai assuefatto all’orrore.

La guerra civile in Sudan è iniziata nell’aprile del 2023, ma le sue radici affondano molto più indietro. Dopo la caduta del dittatore Omar al-Bashir nel 2019, il paese era entrato in una fase di transizione instabile, guidata da un Consiglio Sovrano formato da militari e civili. Il sogno di una democrazia sudanese durò poco. Le tensioni interne tra le Sudanese Armed Forces (SAF), guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan, e le RSF, il corpo paramilitare comandato da Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, esplosero in aperto conflitto. Due generali, due eserciti, un solo paese conteso. Da un lato le forze regolari, fedeli all’idea di un Sudan unitario e centralizzato. Dall’altro, un gruppo paramilitare cresciuto all’ombra del potere di Bashir, responsabile di crimini nel Darfur già vent’anni fa, ma oggi ricchissimo grazie al controllo di miniere d’oro, traffici e sostegni esterni, soprattutto provenienti da potenze del Golfo.

El Fasher, capoluogo del Darfur del Nord, era l’ultima grande città della regione ancora sotto controllo governativo. La sua caduta segna un punto di non ritorno: le RSF dominano ora tutte le principali capitali del Darfur, consolidando il loro potere su un territorio grande quanto la Francia. Le testimonianze provenienti dalla città parlano di scene apocalittiche. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha confermato l’uccisione di centinaia di civili dentro e attorno all’ospedale principale. ONG locali parlano di vere e proprie esecuzioni di massa, con miliziani che entrano casa per casa alla ricerca di uomini appartenenti a determinate etnie, in particolare Fur, Zaghawa e Berti. Le RSF sarebbero state affiancate da milizie tribali armate, in una spirale di violenza etnica che ricorda drammaticamente il genocidio del 2003-2005.

Il Sudan non è solo un campo di battaglia interno, ma un vero e proprio teatro di confronto geopolitico. L’Egitto sostiene l’esercito regolare del generale al-Burhan, preoccupato di un eventuale collasso statale lungo il Nilo. Gli Emirati Arabi Uniti e altre potenze del Golfo sono accusati di finanziare e armare la RSF, interessati alle miniere d’oro del Darfur e a rotte strategiche verso il Mar Rosso. La Russia, attraverso il gruppo Wagner e le sue evoluzioni post-Prigozhin, avrebbe fornito supporto tecnico e logistico alle milizie di Hemetti in cambio di concessioni minerarie. L’ONU ha perso gran parte della sua capacità d’intervento dopo l’espulsione del suo personale da parte delle autorità di Khartoum, mentre la missione africana è rimasta isolata e priva di mandato operativo. Nel frattempo, centinaia di migliaia di civili fuggono verso il Ciad, già al collasso economico e umanitario.

Secondo le stime delle agenzie internazionali, oltre dodici milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case dall’inizio del conflitto. Le immagini satellitari mostrano interi villaggi bruciati, campi profughi attaccati con droni e convogli umanitari bloccati o saccheggiati. Il Darfur, simbolo della brutalità dei primi anni Duemila, è oggi di nuovo un inferno, ma stavolta nel silenzio quasi totale della comunità internazionale, distratta da altri fronti e paralizzata dalla frammentazione diplomatica.

Il Sudan, un tempo ponte tra il mondo arabo e l’Africa subsahariana, è oggi un mosaico di poteri regionali e signori della guerra. Nessuna delle due fazioni principali sembra in grado di governare il paese, né di vincere militarmente. Le forze civili e democratiche, protagoniste delle proteste del 2019, sono state schiacciate tra le due milizie. L’economia è in rovina, la capitale Khartoum è distrutta e divisa in zone di controllo, mentre il governo ufficiale non esiste più se non sulla carta. L’unica certezza è che il Sudan rischia di diventare un nuovo stato fallito, nel cuore dell’Africa, con conseguenze devastanti per tutta la regione del Sahel e per la sicurezza del Mar Rosso.

In un mondo dove la guerra in Ucraina e il conflitto israelo-palestinese occupano quasi tutto lo spazio mediatico, la tragedia del Sudan scorre nell’indifferenza. Eppure, ciò che accade a El Fasher non è solo un problema africano: è un monito per l’intera umanità. È la dimostrazione che, senza giustizia e memoria, la storia è destinata a ripetersi. Che le promesse di “mai più genocidi” non valgono nulla quando l’interesse economico o politico prevale sulla vita umana.

Raimondo Schiavone 

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