Al vertice NATO del 25 giugno 2025 all’Aia, è andato in scena uno dei momenti più emblematici della nuova fase di tensione tra Europa e Stati Uniti. Al centro dello scontro: l’aumento delle spese militari richiesto da Donald Trump ai Paesi alleati. La risposta più netta, forse l’unica realmente politica e non subalterna, è arrivata dalla Spagna di Pedro Sánchez.
Trump, fedele al suo stile aggressivo, ha attaccato senza mezzi termini: «È terribile quello che ha fatto la Spagna. È l’unico Paese che si rifiuta di pagare. E stanno andando benissimo economicamente! Ma se vogliono un accordo commerciale con noi, pagheranno il doppio. Lo dico sul serio». Una minaccia diretta, in puro stile trumpiano: ricattare economicamente per ottenere una maggiore spesa militare.
Ma stavolta, uno ha avuto il coraggio di rispondere per le rime. Pedro Sánchez non solo ha rivendicato l’impegno della Spagna per la difesa con un aumento al 2,1% del PIL, ma ha anche detto chiaramente che non si piegherà a diktat imposti da Washington. Ha parlato da leader europeo, non da valletto.
Il premier ha dichiarato che l'obiettivo del 5% del PIL in spesa militare, approvato come nuovo standard NATO, rappresenterebbe un peso insostenibile per i conti pubblici spagnoli, comportando un aumento di circa 300 miliardi di euro entro il 2035. Una cifra folle che, ha detto, “avrebbe messo a rischio il nostro stato sociale”. E ha aggiunto: “Il nostro 2,1% è coerente con le nostre responsabilità, ma anche con la nostra identità”.
E mentre Trump minacciava dazi e ritorsioni commerciali, da Madrid è arrivata una seconda risposta, questa volta istituzionale: il ministro dell’Economia Carlos Cuerpo ha chiarito che la Spagna non negozierà da sola, perché qualsiasi trattativa commerciale con gli USA passa da Bruxelles. Tradotto: “Se vuoi fare la voce grossa, rivolgiti all’Unione Europea”.
Il messaggio è arrivato forte anche dalla vicepresidente del governo, Yolanda Díaz, che ha usato parole dure e chiare: «La Spagna è sovrana e non ammette minacce. La nostra priorità resta il welfare, non le bombe».
Ecco, finalmente un leader con gli attributi lo ha mandato a quel paese. Senza ambiguità, senza sorrisi diplomatici, senza inginocchiarsi. E lo ha fatto non per arroganza, ma per difendere un principio fondamentale: la sovranità democratica. In tempi in cui molti governanti europei, davanti a Trump, si comportano da camerieri con il vassoio in mano, la fermezza di Sánchez è una boccata d’ossigeno.
Non è solo uno scontro tra due leader. È un passaggio simbolico: la Spagna ha detto no a un ricatto, e ha messo i propri cittadini davanti alle richieste dell’apparato militare atlantico.
Forse è questo che manca oggi in Europa: gente che, davanti alle pressioni degli Stati Uniti, non si limiti a mugugnare in un comunicato stampa, ma abbia il coraggio di dire “no, grazie”. O meglio ancora, come in questo caso, dire “vàttene a quel paese”. Con dignità e senza paura.
Raimondo Schiavone