Non serve il VAR, non servono le indagini, non servono neanche i test del DNA: Mario Guerrini è interista.
E non per simpatia o per caso. Ma per struttura mentale. Per attitudine. Per quel modo tutto suo di perdere e giustificarsi, esattamente come il suo gemello separato alla nascita: Simone Inzaghi.
Uno scrive articoli come se fossero verbali di questura, l’altro allena come se la partita fosse un’intervista.
Entrambi, però, condividono un talento speciale: prendere cinque schiaffi – e trovarci dentro un messaggio positivo.
Cinque a zero.
Contro il PSG.
Con Kvaratskhelia che faceva quello che voleva, e l’Inter che sembrava allenata da un algoritmo in tilt.
E Guerrini, puntuale, che prende la tastiera e scrive il solito pezzo infiocchettato con cinque puntini sospensivi, come se volesse lasciarci intendere verità indicibili, e invece lascia solo vuoti. Come la difesa nerazzurra.
È qui che il parallelismo diventa perfetto.
Inzaghi non ha colpe: è colpa del calendario, dell’arbitro, della pioggia.
Guerrini non ha certezze: “lo sanno tutti”, “qualcuno dice”, “c’è chi racconta”.
Mai una fonte vera, mai un’ammissione di responsabilità.
Sono i sacerdoti della sconfitta elegante, quelli che ti spiegano che perdere va bene, che "il percorso è giusto", che "ci sono segnali incoraggianti".
Il risultato? Sempre lo stesso: zero.
E mentre loro si arrampicano sugli specchi, i tifosi rossoneri godono, quelli juventini ridono a crepapelle e i napoletani brindano: loro sì, hanno visto il massacro in diretta. E non cercano alibi.
Solo Guerrini e Inzaghi vivono nel loro teatrino, dove anche il 5 a 0 “non è poi così male”.
Poi c’è quel modo educato di mentire:
– Inzaghi: “Abbiamo fatto la partita.”
– Guerrini: “Non si può tacere su quanto accaduto…”
E via, tra cambi tardivi e frasi sospese nel vuoto, ci si dimentica il dettaglio principale: che hanno perso. Male. E spesso.
Sono gemelli della mediocrità accademica.
Lui, Guerrini, riesce a fare l’intellettuale della delazione.
Inzaghi, il filosofo della panchina molle.
Uno si appiglia ai silenzi, l’altro ai pali. Uno ai commenti social, l’altro al possesso sterile.
Ma sempre cinque gol sotto. Sempre.
E quando qualcuno glielo fa notare, si offendono.
Guerrini grida alla persecuzione.
Inzaghi gira lo sguardo e ringrazia comunque “i ragazzi”.
E allora sì, Mario Guerrini è interista. Non perché tifi l’Inter, ma perché la incarna.
Come Inzaghi: elegante, ordinato, perdente.
Ma con stile. Con dignità. Con puntini sospensivi.
Cinque. Come i gol.
Come le fonti mai verificate.
Come le partite importanti perse.
Come le querele archiviate.
Come le occasioni buttate.
Chi si somiglia si piglia. E loro si sono già presi tutto: lo zero in classifica e l’applauso di chi ama i perdenti per bene.
Raimondo Schiavone