È successo. Un evento epocale, una frattura nella storia della libertà di espressione, un colpo durissimo al dibattito democratico: il signor Mario Guerrini ha deciso di bloccare la pagina Facebook del mio blog.
Confesso che da ieri vivo uno stato di prostrazione. Il solo pensiero di non poter più accedere ai suoi post grondanti sapienza giornalistica, riflessioni degne del miglior bar sport, e sferzanti attacchi ad personam, mi getta nello sconforto. Come farò a vivere senza la sua interpretazione dei fatti, così lucidamente faziosa, così artisticamente tendenziosa?
Come potrò sopravvivere alla mancanza della sua penna, che non scrive ma accoltella, non racconta ma urla, non informa ma condanna?
Evidentemente, qualcosa deve averlo irritato. Forse i miei modesti articoli pubblicati su L’Ora di Demolire, che si sono limitati a esporre con ironia — e una dose minima di verità — le sue inadeguatezze, la sua totale disonestà intellettuale e quella clamorosa attitudine a fare giornalismo con la clava.
Eh sì, perché Guerrini non informa: colpisce. Non riflette: urla. Non indaga: accusa. E guai a chi prova a tenergli testa. Il suo è un giornalismo da tribunale del popolo, con tanto di forca pronta all’uso per chi osa contraddirlo. Ma attenzione: guai a criticarlo!
Guai a mettere in dubbio la sua imparzialità (inesistente), il suo rigore (fantomatico), il suo equilibrio (irreperibile).
In quel caso, scatta il blocco. E chiude il sipario.
È questa l’idea di confronto che anima il nostro solerte commentatore? Uno spazio pubblico dove può lanciare fango senza replica? Un’arena in cui può mordere ma non essere morso? Evidentemente sì. Perché quando si è abituati a distribuire patenti di moralità senza averne i requisiti, il contraddittorio diventa intollerabile.
Il suo gesto, oltre che puerile, è rivelatore: chi non regge il confronto sceglie la censura, chi non sa rispondere con argomenti si rifugia nel blocco social.
È il trionfo della debolezza mascherata da fermezza, dell’arroganza spacciata per coerenza.
E allora, caro Guerrini, ti saluto. Continua pure il tuo monologo autoreferenziale, circondato da quei pochi che ancora ti scambiano per un giornalista.
Non hai retto lo sguardo caro Mario, ma non preoccuparti o, dal mio canto, continuerò a scrivere di te e delle tue malefatte.
Raimondo Schiavone