C’è chi studia geopolitica, chi analizza gli equilibri tra le potenze, chi prova a capire le mille sfumature di un conflitto devastante come quello in Medio Oriente. E poi c’è Antonio Tajani. Il nostro Ministro degli Esteri, sempre composto, sempre educato, sempre lì a dire esattamente ciò che non serve a nulla. La sua è un'arte raffinata: quella di inanellare frasi generiche, scontate, che suonano come lo scorrere di una lavatrice in modalità “delicati”.
“Serve la pace.”
“Condanniamo ogni forma di violenza.”
“L’Italia sostiene una soluzione diplomatica.”
“Non bisogna alimentare le tensioni.”
“Dobbiamo evitare l’escalation.”
Wow. Nobel per la retorica disidratata. Tajani, in pratica, dice quello che direbbe una nonna davanti al TG: "Eh, speriamo finisca presto." Solo che lui lo dice da Ministro degli Esteri, con in mano (almeno formalmente) il peso della diplomazia di uno Stato membro del G7. E mentre nel mondo si affilano missili, droni, sanzioni e vendette, lui si presenta in conferenza stampa con l’intensità emotiva di un centralinista della SIP negli anni ’80.
Che Israele bombardi Gaza e l’Iran risponda con attacchi diretti? Tajani auspica "il dialogo tra le parti". Che l’Europa venga trascinata nel baratro di una guerra a più livelli? Tajani chiede "prudenza". Che il diritto internazionale venga usato come carta igienica da Tel Aviv e Washington? Tajani crede “nella centralità delle Nazioni Unite”.
Siamo alla diplomazia omeopatica: frasi ad altissimo tasso di diluizione, che non curano nulla e non fanno nemmeno male. Il ministro non prende posizione, non indigna, non propone. Fluttua, sorride, sfoggia l’aplomb istituzionale e ogni tanto tira fuori la perla suprema: “L’Italia è amica di tutti”. Che in tempi di stragi, apartheid, espulsioni e genocidi è come dire: “Non prendiamo posizione perché ci conviene restare sul divano”.
E nel frattempo, la Meloni lo lascia parlare, tanto nessuno lo ascolta davvero. Le cancellerie serie trattano con Macron, Scholz, Blinken, magari Lavrov. Tajani serve a fare le dichiarazioni ufficiali, quelle che si dimenticano dopo 30 secondi. È il maggiordomo della Farnesina, l’uomo delle formule pronte all’uso. Una figura da cerimoniale che ti saluta con deferenza mentre il mondo brucia.
In fondo, Tajani nel Medio Oriente è come il prezzemolo: c’è ovunque, ma non cambia il gusto di nulla.
Raimondo Schiavone