A Vienna, tra il silenzio ovattato dei palazzi dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA), si è votata una risoluzione che potrebbe passare alla storia non per la sua forza diplomatica, ma per il boato che rischia di seguirla. È il genere di documento che non ferma guerre ma le fa cominciare. Il Consiglio dei Governatori ha dichiarato l’Iran in violazione degli obblighi di non proliferazione nucleare. Venti righe di testo, votate da 19 Paesi – tra cui naturalmente gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia… e l’immancabile Italia – che sanciscono, di fatto, la criminalizzazione preventiva della Repubblica Islamica.
Non è una novità, eppure il tempismo è rivelatore. In Medio Oriente la tensione è al massimo storico, Israele è impantanato in Gaza, i fronti si moltiplicano – Libano, Siria, Iraq – e il nemico perfetto, quello che giustifica ogni escalation e ogni "legittima difesa preventiva", si trova a est: l’Iran. C’era bisogno di un via libera tecnico, di un marchio d’infamia da sventolare in prima serata. La risoluzione dell’AIEA è esattamente questo: una autorizzazione morale preventiva a qualsiasi attacco israeliano. Altro che tutela della pace.
Il governo Netanyahu, isolato, logorato, contestato persino dagli alleati storici, ha bisogno di una distrazione e di una causa. Colpire l’Iran – se non direttamente, almeno col fuoco incrociato delle milizie proxy – non è solo geopolitica: è sopravvivenza politica. L’informazione di intelligence sottratta da Teheran, le accuse sulle centrifughe attive, i sospetti di uranio arricchito in siti non dichiarati… tutto grida provocazione.
E mentre Tel Aviv si prepara al peggio, l’Italia – membro docile dell’euroatlantismo – vota a favore. Nessuna autonomia strategica, nessun tentativo di mediazione mediterranea. La diplomazia italiana è ridotta a protocollo d’obbedienza, come un bassotto che scodinzola felice per un biscotto al vertice NATO. Altro che sovranità: siamo l’apripista inconsapevole di un nuovo disastro. Un paese che ha vissuto l’Iraq, l’Afghanistan, la Libia e la Siria dalla parte sbagliata della Storia, ma che insiste a ripetere l’errore, con la stessa cecità coloniale mascherata da responsabilità occidentale.
C’è qualcosa di stonato nel voto italiano. Non solo perché ci allineiamo a Stati che hanno perso ogni credibilità sul fronte della non proliferazione (basti pensare al silenzio complice sul programma nucleare israeliano, o alle complicità francesi nell’Arabia Saudita), ma perché, ancora una volta, ci manca il coraggio di dire "non adesso, non così". Non quando una miccia è accesa e qualcuno aspetta solo il pretesto.
Le astensioni (India, Egitto, Brasile, Sudafrica…) parlano più di mille comunicati: sono il segnale che il mondo multipolare non intende più farsi dettare l’agenda dalla vecchia guardia. Ma Roma non lo capisce. Roma segue. E nel silenzio tombale del nostro parlamento, la decisione dell’AIEA rischia di diventare la Camp David di un nuovo conflitto, dove i negoziati non esistono e la diplomazia è solo una foglia di fico per la guerra che verrà.
Perché la prossima guerra non sarà una sorpresa. Sarà una decisione costruita a tavolino. E oggi, purtroppo, l’Italia ha firmato quel tavolino.