Nulla quaestio sulla forma.
L’affidamento alla società I.B.C. Intermarket Business Consulting S.r.l. per il “servizio di supporto specialistico alla revisione della Legge Regionale n. 7 del 21 aprile 1955” è formalmente corretto, pienamente conforme al Codice dei Contratti Pubblici.
Né si può mettere in discussione la competenza del soggetto incaricato.
Ma la questione non è giuridica, è politica.
E la domanda è inevitabile: si può appaltare all’esterno una funzione di natura legislativa?
E, ancora più a fondo: che fine fanno la Giunta e il Consiglio regionale, se la riscrittura di una legge viene affidata a un soggetto privato?
La Legge Regionale n. 7 del 21 aprile 1955 non è una norma qualsiasi.
È il pilastro storico della politica turistica della Sardegna, nata per disciplinare i provvedimenti per manifestazioni, propaganda e opere turistiche.
Un testo che, nel corso dei decenni, è stato più volte aggiornato, ma che conserva la sua funzione essenziale:
sostenere finanziariamente eventi pubblici di elevato interesse turistico, manifestazioni culturali, sportive e tradizionali che contribuiscono alla promozione dell’immagine dell’isola.
Una legge che, in sostanza, regola il sistema di contributi e incentivi pubblici che alimenta ogni anno buona parte dell’economia turistica e culturale sarda.
Affidarne la revisione a una società esterna significa, di fatto, delegare a un soggetto privato il compito di ridefinire la regia delle politiche turistiche regionali.
Certo, si parla di un “servizio di supporto specialistico”, ma il confine è sottile.
Supportare significa accompagnare, non sostituire.
Eppure, in questo caso, la sensazione è che si stia appaltando non solo il metodo, ma anche la mente del processo legislativo.
La Giunta regionale, che dovrebbe esercitare la funzione di impulso politico, e il Consiglio regionale, che detiene la potestà legislativa, sembrano ridursi a semplici ratificatori di un testo che nascerà altrove, redatto da mani esterne alla struttura pubblica, fuori da qualsiasi dinamica di partecipazione e confronto democratico.
È un corto circuito istituzionale, che trasforma una riforma di legge in un prodotto di consulenza.
Eppure, la riforma della L.R. 7/1955 richiede tutt’altro.
Richiede ascolto, confronto con operatori, amministratori locali, associazioni di categoria, camere di commercio, università, esperti del settore.
Perché tocca nodi sensibili: la distribuzione delle risorse per le manifestazioni, la valorizzazione del territorio, la promozione dell’immagine della Sardegna nel mondo.
Non è un atto tecnico, ma una scelta politica che incide sulla strategia turistica dell’isola.
Un incarico di questo tipo rischia di svuotare il dibattito pubblico e di trasformare la riforma in un processo freddo e burocratico, calato dall’alto, redatto da chi conosce la norma ma non vive il territorio.
E ciò che nasce tecnicamente perfetto, ma politicamente sterile, finisce per non rappresentare nessuno.
La Sardegna ha un patrimonio unico, un’identità forte, un settore turistico che non ha bisogno solo di norme aggiornate, ma di una visione condivisa.
Appaltare la revisione della legge che ne regola il cuore economico e culturale significa esternalizzare la politica, rinunciare alla capacità di costruire pensiero pubblico, di esercitare la propria sovranità legislativa.
Le leggi si possono migliorare, riscrivere, modernizzare.
Ma non si possono appaltare.
Perché una legge è l’espressione di una comunità, non di un contratto.
E quando anche la politica comincia a esternalizzare il proprio pensiero, il rischio è che, alla fine, la Sardegna non decida più neppure se stessa.














e poi scegli l'opzione