La tregua era solo una messa in scena. Una pausa per ricaricare le armi, non per disarmare l’odio. A Gaza oggi non si respira pace, ma il tanfo del tradimento. Dopo averli lasciati illudere, dopo aver distribuito qualche briciola di cibo e acqua, l’esercito terrorista sionista è tornato a fare ciò che sa fare meglio: uccidere. Uccidere civili, donne, bambini. Uccidere chi non ha più nulla se non la propria ombra.
Cento morti in un solo giorno. Cento nomi che non faranno notizia, cento corpi che non vedremo mai in TV perché la censura dell’ipocrisia occidentale coprirà tutto con un’altra parola ingannevole: “reazione”. Ma quale reazione può giustificare l’assassinio di bambini che giocavano tra le macerie? Quale sicurezza può fondarsi sul sangue dei civili?
Israele non ha aspettato molto: il tempo di un banchetto diplomatico, di qualche foto con gli alleati europei, di un discorso patetico sul “diritto alla difesa”. Poi ha ricominciato. Perché in questa guerra, la “pace” serve solo a farli morire con la pancia piena, non più di fame ma di illusione.
Il mondo tace. Gli stessi che ieri si stracciavano le vesti per l’Ucraina, oggi guardano altrove. La stampa occidentale, addomesticata e pavida, riduce il genocidio a “operazione di sicurezza”. Le cancellerie, complici fino al midollo, parlano di “dialogo” mentre finanziano il massacro.
Non è più guerra: è sterminio. È una pulizia etnica con il consenso del silenzio. E chi ancora parla di “due Stati” o “soluzioni diplomatiche” è parte del problema, non della speranza.
La verità è che Israele non vuole la pace. Vuole la terra. Vuole cancellare un popolo, riscrivere la storia, e farlo col timbro dell’Occidente che si dice democratico mentre fornisce armi e giustificazioni.
A Gaza non muoiono più solo i corpi. Muore l’idea stessa di umanità.
E chi resta in silenzio, chi finge di non vedere, chi relativizza, è complice di ogni bomba che esplode, di ogni bambino che non si sveglia più.
La finta pace è finita. Ora ricomincia l’inferno — con la benedizione di chi diceva “mai più”.
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