Blog di Raimondo Schiavone e amici

La danza sull’abisso – La normalizzazione della tragedia nell’Italia del XXI secolo

Viviamo un’epoca in cui si muore a migliaia, ogni giorno, sotto bombe intelligenti, colpi di machete, nei deserti della fame o nei mari della disperazione. Gaza brucia da mesi sotto un genocidio che non si può più neppure definire metaforico. In Sudan, la guerra civile ha trasformato i bambini in bersagli mobili e le donne in bottini di guerra. L’Iran e Israele si lanciano missili come se fossero coriandoli. L’Ucraina è diventata il macello d’Europa, una trincea infinita fatta di carne giovane e cemento frantumato. Il Congo resta l’inferno invisibile: milioni di morti dimenticati perché neri, poveri e senza petrolio. L’India e il Pakistan giocano da decenni con l’idea dell’apocalisse nucleare.

E noi?

Noi balliamo.
Cantiamo.
Ci indigniamo per tre giorni su Instagram.
E poi andiamo a fare l’aperitivo.

La tragedia è diventata la colonna sonora muta della nostra esistenza anestetizzata. Abbiamo normalizzato l’orrore, sterilizzato la guerra, reso invisibile il sangue. Viviamo nel cuore pulsante dell’indifferenza, e la chiamiamo “vita normale”. Non è solo rimozione: è una patologia collettiva.

Nel suo “L’uomo a una dimensione”, Herbert Marcuse aveva previsto tutto: la società opulenta avrebbe cancellato il conflitto, lo spirito critico, la solidarietà, in nome del benessere individuale. Il consumo come surrogato di felicità. Il supermercato come cattedrale. L’iPhone come ideologia.

Ogni morte lontana è meno reale di un’interruzione della fibra a casa. Il pianto di un bambino yemenita è meno grave di un ritardo Amazon. Viviamo dentro un sistema che ci disconnette dalla realtà mentre ci promette connessione 24/7.

Il bombardamento mediatico non è più informazione ma intrattenimento: le guerre passano in sovrimpressione tra un quiz e un reality. Le notizie non sconvolgono, ma decorano. Non ci interrogano, ci accompagnano.

Nel vuoto ideologico della nostra epoca, la classe dirigente è composta da influencer travestiti da statisti. Il pensiero è scomparso. Le ideologie, con tutte le loro colpe e glorie, sono state rottamate in favore di slogan da TikTok e dirette Instagram.

La guerra? Una seccatura geopolitica.
Il genocidio? Un problema “complesso”.
Il dolore? Qualcosa da "non polarizzare".

L’Italia è governata da ignoranti travestiti da moderati e oppositori che si oppongono solo al passato, mai al presente. Le piazze non esistono più, se non per rivendicare lo sconto sulla benzina o difendere il diritto al mojito notturno.

Viviamo l’epoca della post-compassione. Non proviamo più nulla. Siamo spettatori di Netflix in carne e ossa, capaci di guardare un villaggio raso al suolo e, subito dopo, fare battute sul vestito di un VIP. Il cinismo ha sostituito l’empatia, la superficialità ha ucciso la riflessione.

In fondo, non è neanche colpa nostra. È il frutto di decenni di addestramento culturale all’indifferenza. Abbiamo imparato a vivere su un campo di sterminio globale sorridendo. Abbiamo trasformato l’eccezionale in ordinario, la tragedia in sfondo, la guerra in routine.

Stiamo ballando sull’orlo dell’abisso. E non ce ne rendiamo neanche conto. Il mondo va a fuoco, e noi discutiamo di algoritmi, di look estivi, di micro-offese da social. Siamo figli e vittime di un sistema che ci vuole felici e ignoranti, purché non disturbiamo.

Ma ogni tanto, tra un’esplosione lontana e una diretta inutile, dovremmo fermarci e guardarci negli occhi. E chiederci:
cosa siamo diventati?
E soprattutto:
abbiamo ancora un’anima?

Raimondo Schiavone