A volte, dietro una denuncia non c’è soltanto un cittadino indignato. A volte c’è una strategia. C’è un intento preciso, un obiettivo da colpire, un messaggio da far passare. Il procedimento penale n. 2023/2591 R.G.N.R., connesso alla presunta irregolarità di alcuni affidamenti pubblici da parte della Provincia di Nuoro, si è chiuso con una richiesta di archiviazione da parte del Pubblico Ministero dott. Riccardo Belfiori, accolta integralmente dal Giudice per le Indagini Preliminari dott. Mauro Pusceddu, che ha disposto in via definitiva: “il fatto non sussiste” e “il fatto non è previsto dalla legge come reato”.
Nessun abuso. Nessun vantaggio illecito. Nessuna irregolarità penalmente rilevante. Eppure, per mesi, è stata messa in moto una vera e propria macchina del sospetto. Sotto accusa non solo gli atti amministrativi, ma anche e soprattutto un modello culturale, progettuale e imprenditoriale fondato su trasparenza, qualità e innovazione. Un modello che aveva un solo difetto: non essere nelle mani dei soliti noti.
A firmare l’esposto che ha dato origine al procedimento è Mariano Meloni, volto noto nella pubblica amministrazione sarda. Ex direttore generale della ASL 5 di Oristano, Meloni è finito nel 2019 al centro dell’inchiesta “Ippocrate”, condotta dalla Procura di Oristano, per presunti favori e assunzioni pilotate nel sistema sanitario. Il suo nome compare, insieme a quelli di dirigenti e politici regionali, in una vicenda che ha segnato profondamente la gestione della sanità oristanese. Sempre nel 2019, è stato destinatario di un avviso di garanzia per minacce a un dipendente, a seguito di una disputa verbale su una nomina all’ospedale San Martino, risalente al 2014.
Non nuovo a polemiche, Meloni era già salito agli onori della cronaca nel 2014, quando rinunciò a un incarico da dirigente finanziario del Comune di Macomer a causa delle proteste sollevate in Consiglio comunale. Disse di sentirsi leso nella sua dignità, ma i fatti raccontano una figura istituzionale costantemente in conflitto con l’ambiente che lo circondava.
Nel tempo, numerose testimonianze provenienti da ambienti provinciali hanno segnalato nei suoi atteggiamenti una forte impronta misogina: parole sprezzanti verso colleghe, sminuimento sistematico di figure femminili in ruoli di comando, opposizione ideologica a dirigenti donne. Episodi che, seppur non ancora oggetto di provvedimenti ufficiali, disegnano un profilo umano e relazionale problematico, ben lontano da quell’immagine di integerrimo tutore della legalità che Meloni ha cercato di accreditarsi.
Ma il punto centrale è un altro: la sua denuncia era davvero mossa da spirito civico? O era parte di un piano più ampio, studiato per colpire chi, come il sottoscritto, con le proprie aziende, lavora in Sardegna da anni in ambito culturale, progettuale, formativo, editoriale?
Le società che rappresento hanno vinto bandi pubblici, collaborato con enti, prodotto contenuti di qualità riconosciuti anche a livello nazionale. Ed è proprio questo ad aver dato fastidio. Il fatto che a Nuoro – come altrove – ci siano imprese sarde indipendenti, trasparenti e non manovrabili, è diventato un problema per chi da decenni esercita potere vero solo nel buio delle retrovie.
Per questo la campagna montata a partire dall’esposto di Meloni non è stata un caso isolato. È stata una manovra articolata, rilanciata da media compiacenti – in primis Sardinia Post, che ha titolato con perentoria condanna ancor prima che le indagini iniziassero:
“Affidamenti a raffica a società collegate a Schiavone: Nuoro come Chicago anni ‘30?”
e
“Il libro su Grazia Deledda pagato con fondi pubblici e spedito da una ditta amica”.
Nessun contatto per verificare, nessuna richiesta di replica, nessuna attesa delle risultanze giudiziarie. Solo fango. Solo insinuazione.
Ma la Procura ha fatto il suo lavoro. Ha ricostruito ogni affidamento, ogni atto, ogni incarico. Ha ascoltato, acquisito, verificato. E ha scritto con chiarezza: nessuna irregolarità, nessun dolo, nessun abuso.
Ed è qui che sorge un’altra domanda, quella decisiva:
chi ha spinto Meloni a esporsi? Chi ha fornito materiale, suggerimenti, copertura? Chi ha orchestrato la campagna?
Forse qualcuno che si spaccia da anni per moralizzatore sul web, che si atteggia a censore della politica sarda ma è il prodotto più rancido di essa. Un burattinaio silenzioso, abituato a colpire chi non controlla, a muovere i fili con l’ipocrisia di chi scrive prediche mentre fa affari nell’ombra. Uno che, dietro l’immagine del blogger impegnato, protegge e alimenta il peggio della rendita di posizione isolana.
Perché non si voleva colpire un bando. Si voleva colpire un modo libero di fare impresa, cultura e comunicazione. Si voleva spezzare un percorso scomodo, che non passa da tessere, fratellanze o spartizioni. E l’unico modo per farlo, era gettare il sospetto. Anche senza prove.
Ma il sospetto, stavolta, si è schiantato contro i fatti.
Chi pagherà ora per il danno?
Chi restituirà la reputazione infangata?
Chi ridarà pace a chi ha visto il proprio nome sbattuto sui giornali senza alcuna colpa, solo per il gusto di distruggere?
La verità ha vinto, ma non basta. Serve memoria. Serve un impegno collettivo per dire basta ai dossier costruiti nei retrobottega, ai “paladini” che cercano vendette personali travestite da crociate morali, a un sistema che usa le denunce come armi politiche.
E serve, finalmente, avere il coraggio di nominare i burattinai. Non solo chi agisce, ma chi comanda. Non solo chi firma, ma chi scrive i copioni.
Raimondo Schiavone