Cagliari – Non serviva il PNRR per innovare l’amministrazione pubblica, bastava un bancone, due cappuccini e qualche brioche. Da qualche settimana, infatti, gli uffici dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sardegna sembrano essersi trasferiti “strategicamente” al bar sotto la sede. Forse per via dei lavori in corso, forse per sperimentare un nuovo modello di smart working mediterraneo, ma il risultato è che ogni mattina si consuma la scena più surreale della burocrazia portuale sarda.
Dirigenti e funzionari – riconoscibili dal badge pendente e dall’aria di chi ha molto da fare ma preferisce non farlo subito – si sistemano ai tavolini come in un coworking improvvisato: cappuccino, pc aperto, qualche telefonata, e naturalmente ore di intensa “riflessione istituzionale” accompagnate da cornetti e chiacchiere.
La battuta che gira tra gli operatori portuali è impietosa: “Loro gestiscono il traffico marittimo, ma solo quello dei camerieri”.
C’è chi arriva il martedì e riparte il giovedì, e chi, per scrupolo professionale, prolunga la pausa caffè fino a pranzo. Pare che tra un espresso e l’altro vengano prese decisioni strategiche sul futuro del porto, ma i più maligni sostengono che il vero progetto in corso sia la digitalizzazione del tiramisù e la dematerializzazione dello scontrino.
Un’innovazione rivoluzionaria, questa, che potrebbe essere brevettata: il Porto-Coworking all’italiana, dove il caffè è più forte delle delibere e il wi-fi del bar più stabile della governance.
E mentre le navi attendono piani operativi e gli operatori del porto chiedono risposte, i dirigenti – quelli veri, non i baristi – continuano a presidiare la caffetteria, con grande dedizione alla missione: “Mantenere alto il livello… di caffeina”.
Alla fine, forse, avevano ragione loro: per mandare avanti il sistema portuale serve energia. Peccato solo che sia tutta concentrata nella macchinetta del caffè.
Raimondo Schiavone
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