Blog di Raimondo Schiavone e amici

Il drago della burocrazia italiana: mangia tempo, soldi e legalità

In Italia il problema non è la mafia. È la burocrazia che la alimenta.

Non è un paradosso. È una realtà. È nei mille cavilli, nei faldoni ingialliti, nei timbri obsoleti, nei procedimenti autorizzativi che richiedono anni e nei controlli infiniti che nessuno davvero controlla, che la mafia si infila come un coltello nel burro. Perché dove regna l’opacità, prospera l’illegalità. Dove nessuno capisce più niente, chi ha il potere — occulto o istituzionale — detta legge.

L’Italia è il paese europeo con i processi amministrativi più lunghi, ridondanti, contraddittori. Aprire un cantiere, ottenere un permesso edilizio, completare una bonifica, perfino installare un pannello solare o piantare due vigne richiede un pellegrinaggio tra comuni, sovrintendenze, province, Arpas, Tar, commissioni urbanistiche, enti fantasma e firme a penna. Tempi infiniti. Norme che si contraddicono. Contratti che durano più del progetto stesso. E poi ricorsi. Contro-ricorsi. Anni persi. Vite perse.

Nel frattempo chi ha fretta e “conosce qualcuno” bypassa tutto. La burocrazia non è più garanzia di trasparenza: è il ricatto istituzionalizzato. Chi non si allinea, aspetta. Chi non paga il pizzo — e non parliamo solo di quello mafioso — resta fermo. Invece chi olia gli ingranaggi, vola.

Non è un caso se la criminalità organizzata in Italia non ha mai bisogno di dichiarare guerra allo Stato. Non le conviene. Le basta mimetizzarsi nei processi. Vincere appalti truccati perché tanto il concorrente onesto è stato eliminato dalla giungla dei regolamenti. Infilarsi nei subappalti, che vengono approvati senza che nessuno alzi un sopracciglio. Finanziarsi con fondi pubblici europei che nessuno insegue più, tanto il meccanismo di monitoraggio è un incubo kafkiano dove perfino gli ispettori si perdono.

Ogni tanto si urla contro i "furbetti". Ma nessuno grida contro il sistema che genera i furbetti. Ogni tanto si invocano "semplificazioni". Ma la semplificazione in Italia è come l’araba fenice: se ne parla da vent’anni, ma non l’ha mai vista nessuno.

Chi davvero vuole legalità dovrebbe partire da qui: abolire la religione della carta e del vincolo per sostituirla con la trasparenza digitale, la responsabilità diretta, il controllo ex post, la fiducia meritocratica.

Ma non lo faranno mai. Perché il drago burocratico non è un errore: è un alleato del potere. Serve a tenere tutti nel guinzaglio. Chi sbaglia, è colpevole. Chi non capisce, è colpevole. Chi osa, è colpevole. Chi riesce, è sospetto. E chi si arrende, è finalmente domato.

L’Italia è il paese dove si muore di moduli e postille, non di corruzione. Perché la corruzione è solo un sintomo: la malattia vera è la legalità impazzita, trasformata in labirinto. E in quel labirinto la mafia ci sguazza. Silenziosa. Invisibile. Ma sempre un passo avanti.

E allora diciamolo con chiarezza: la burocrazia italiana è lo strumento più utile alla mafia.
Altro che lotta alla corruzione: qui si coltiva il campo dove la corruzione cresce, si moltiplica e diventa sistema.

Ma guai a dirlo. Meglio tacere. Firmare. Aspettare. Morire.
Con ricevuta protocollata in allegato.

Raimondo Schiavone