Quando Vannacci esordì con il suo libro, in molti lo scambiarono per una sorta di Savonarola in mimetica. Il mondo sembrava impazzire e lui, con il suo stile da ufficiale di fanteria, lanciava anatemi contro il “politicamente corretto”, gli “immigrati che non si integrano” e la “società debole e codarda”. All’inizio, persino alcuni analisti gli riconoscevano una coerenza, una certa logica spartana nel difendere un modello di virilità e di patria in via d’estinzione.
Poi è arrivata la politica. E Salvini, più astuto di un colonnello di carriera, lo ha preso sotto l’ala, o meglio nel reticolato, trasformando l’irregolare in regolare, l’eroe di retrovia in pedina da trincea. Da quel momento, il generale ha smesso di sparare bordate e ha iniziato a sussurrare banalità. Le sue ultime dichiarazioni sembrano più le chiacchiere da bar di un maresciallo in pensione che le parole di un uomo “fuori dal sistema”.
I dati parlano chiaro: la Lega, che nel 2019 in Toscana viaggiava sopra il 20%, oggi arranca al 4%. Il “fenomeno Vannacci” non ha portato voti, anzi li ha prosciugati. Nessun travaso di consenso, nessuna ondata identitaria. Il suo messaggio, ormai, è un déjà vu: contro l’immigrazione, contro il pensiero unico, contro tutto. Ma senza più la forza della novità, né la lucidità strategica.
Il suo “mondo al contrario” si è ribaltato davvero, ma contro di lui. Da eroe popolare a personaggio da talk show del pomeriggio, il generale ha finito la benzina, o meglio – per restare nel suo linguaggio – ha esaurito le munizioni. Non c’è più la spinta di chi sfida l’establishment: c’è solo un soldatino arruolato in un partito in declino, circondato da comandanti che pensano solo a sopravvivere.
E Salvini, che sa muoversi meglio di chiunque altro tra gli avanzi di un campo di battaglia elettorale, lo ha fatto rientrare nei ranghi. Ha trasformato il ribelle in simbolo d’ordine. In un’Italia stanca e disillusa, il generale si è fatto maresciallo, e pure senza plotone.
Il risultato? Vannacci oggi combatte da solo, contro un nemico che non sa più nominare: il silenzio.
Raimondo Schiavone















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