Cagliari. Altro che partito politico: i cosiddetti “progressisti” sembrano più un gruppo di ex studenti rimasti bloccati all’aperitivo del venerdì sera. Mojito in mano, selfie indignato, hashtag #resistenza — e via, la rivoluzione è servita con la fettina di lime.
Si definiscono “sardi”, ma di sardo hanno solo il codice fiscale. Parlano di popolo e territorio, ma sembrano conoscere più i cocktail bar di via Roma che i paesi dell’interno. E guai a chiamarli “nazionali”: sono un partitino cittadino, fatto di moine, birrette e denunce in Procura — il tutto condito da una retorica moralista che nasconde solo la più classica fame di poltrone.
Il loro capo spirituale, il “massimo” Zedda, regna da un trono costruito su marciapiedi dissestati, tombini maleodoranti e piste ciclabili che finiscono nel nulla. Attorno a lui, i fedeli della setta del mojito politico, quelli che hanno trasformato il degrado urbano in ideologia e il selfie antifascista in atto di governo.
Nel frattempo, il loro Gandalf personale, il saggio Luciano Uras, da tempo medita di conquistare la Regione tentando di scalzare l’assessore Gianfranco Satta — grande esperienza in enologia ma poca in agricoltura — in una faida interna che somiglia più a una lite da circolo Arci che a un confronto politico.
E così, mentre la città cade a pezzi, i nostri eroi si riscoprono “antifascisti” e “filo-palestinesi”, come se bastasse alzare un pugno in aria o condividere un post indignato per meritarsi la patente di rivoluzionario. Il problema è che fino a ieri gli stessi signori del mojito sorseggiavano prosecco agli eventi dell’ambasciata israeliana, ricevevano orologi dagli emiri e parlavano di pace tra un buffet e l’altro.
Ora li vedi nei post e nelle piazze, con l’aria da Che Guevara da bar: “noi siamo contro le guerre”, dicono. Certo, ma solo fino all’ora dell’aperitivo. Poi, tutti a casa a contare incarichi, consulenze e poltrone.
A completare il quadro, un’opposizione di centrodestra in Comune talmente debole che pare messa lì apposta per farsi prendere in giro. Quattro figuranti che scambiano la politica per il banchetto delle caramelle — neanche buone — e non sanno distinguere un’interrogazione da una recensione su TripAdvisor. Un gruppo che dovrebbe rappresentare l’alternativa, ma che invece sembra il miglior alleato del nemico: assenti, disorganizzati, senza visione e incapaci persino di approfittare del disastro amministrativo che hanno davanti.
Mentre Zedda e i suoi brindano, loro dormono. Quando parlano, è peggio. Un’ora di consiglio comunale e nessuno capisce se stiano opponendosi o chiedendo un favore. Non c’è un’idea, non una proposta, non un volto capace di guardare oltre il prossimo comunicato stampa.
È come se la minoranza avesse deciso di restare minoranza per vocazione, soddisfatta del ruolo di comparsa e del gettone di presenza.
E così Cagliari affonda nella spazzatura, tra le buche e la propaganda, mentre il partito del mojito brinda al prossimo “successo morale”. Ma tranquilli, c’è sempre un brindisi, una birretta e un nuovo nemico da inventare.
Solo un consiglio: cari progressisti cagliaritani, meno mojito e più serietà. E cari oppositori, meno chiacchiere e più coraggio. Perché fare politica non è un aperitivo — è un impegno. E a furia di agitare bandiere o di dormire sugli scranni, rischiate di sembrare tutti uguali: rivoluzionari da terrazza e oppositori da salotto, con la coscienza piena di slogan e il bicchiere sempre mezzo pieno.
Raimondo Schiavone














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