Sono piccole. Minuscole. Sporche di sangue. Consumate dalla polvere, dalle macerie, dal terrore. Sembrano appena tolte dai piedi di un bambino. Un bambino che probabilmente non c'è più. Nell'immagine che accompagna queste righe, una fotografia crudele nella sua semplicità, ci sono un paio di scarpe da ginnastica, di quelle che ogni bambino sogna, accanto a una pantofolina rosa decorata con fiori infantili. Intorno, mascherine, garze, plastica medica. Siamo in un ospedale. O in ciò che ne resta.
Il Ministero della Salute di Gaza ha diffuso oggi numeri che nessuna coscienza civile dovrebbe riuscire a leggere senza tremare: 57.338 morti, 135.957 feriti. Solo nelle ultime 24 ore, 70 nuovi martiri e 332 feriti sono stati registrati. Bambini, donne, civili. In gran parte strappati alla vita da un'aggressione che è ormai sistematica, pianificata, metodica.
Le bombe piovono ogni giorno, con una regolarità grottesca. Colpiscono case, scuole, mercati, ospedali. Le scarpe nella foto non sono una metafora: sono tutto ciò che resta di chi fino a pochi istanti prima correva, giocava, viveva. La sabbia di Gaza è ormai rossa, intrisa del sangue innocente di un popolo martoriato. Eppure, il mondo guarda altrove. Qualcuno giustifica, altri tacciono, molti fanno finta di non vedere.
Ma la verità si aggrappa a dettagli come questo. A un paio di scarpette abbandonate. Non si può parlare di “danni collaterali” quando il bersaglio è la vita stessa. Non si può continuare a invocare “diritto alla difesa” quando il risultato è un'ecatombe di bambini.
I responsabili di questo orrore hanno un nome. Si chiamano esercito israeliano, si chiamano Netanyahu, si chiamano indifferenza occidentale. L'impunità con cui continuano a colpire è figlia diretta della complicità internazionale. Dei governi che vendono armi, dei media che censurano, delle diplomazie che balbettano.
Chi guarda questa foto e non prova rabbia o dolore, ha smarrito la propria umanità. Quelle scarpe sporche di sangue non sono un simbolo: sono un atto d’accusa. Gridano, senza voce, che la coscienza del mondo è stata sepolta sotto le macerie di Gaza. E ogni giorno che passa senza una condanna netta, ogni giorno in cui non si fermano le bombe, è un giorno in più in cui la Storia annota i nomi dei complici. Anche i nostri.
Le scarpe sono lì. I bambini non più.