Cagliari. Ci risiamo. Mario Guerrini, il moralista da bar dello sport e da social network, torna a impartire lezioni di etica pubblica, sparando sulla politica sarda con la solita mistura di indignazione prefabbricata e retorica da pensionato frustrato. Il suo ultimo “osservatorio” è un monumento all’ipocrisia. Parlare di “scandali”, “porcherie”, “vergogne” e “povera gente” con il tono di chi si crede Savonarola, mentre si gode una pensione maturata tra redazioni compiacenti e candidature nel Partito Socialista, è semplicemente nauseante.
Già, perché Guerrini è stato anche candidato politico, con quella tessera socialista che allora apriva porte e amicizie, la stessa che oggi finge di non ricordare. Eppure, il moralista che oggi predica contro le “porcherie della politica” ne ha respirato a pieni polmoni l’aria per anni, quella delle correnti, delle raccomandazioni, dei favori reciproci. L’eterno candidato mai eletto, ma sempre al centro della scena: il giornalista di partito, non certo il martire della libertà.
Guerrini non è la voce del popolo. È la voce di un passato ingrigito che odia il futuro. Vorrebbe una Sardegna immobile, lenta, controllata, ingessata nei timbri e nelle circolari della Corte dei Conti. Una Sardegna che viaggia ancora con la Fiat 126, arrancando tra moduli e firme digitali, che diffida dell’innovazione e punisce chi osa fare, creare, investire. È la visione meschina di chi ha paura dello sviluppo perché lo sviluppo gli toglie l’unico palcoscenico rimasto: quello della lamentela.
Ma il vero scandalo è il suo linguaggio: usa i bambini, la povertà, la sofferenza come strumenti emotivi, per tirare lacrime facili e consenso digitale. Un copione miserabile. La realtà è che Guerrini non difende i poveri: li usa. Li brandisce come arma per restare rilevante, per continuare a farsi invitare ai tavoli dove non ha più nulla da dire.
E poi, la domanda inevitabile: quanto prende di pensione Mario Guerrini? Perché mentre accusa la politica di sprechi e privilegi, lui continua a incassare ogni mese la rendita di un sistema che lo ha mantenuto per una vita intera. È facile fare il moralista con la pancia piena e il vitalizio garantito. È facile sputare sul sistema che ti ha nutrito per decenni.
Questo non è giornalismo, è populismo da quattro soldi, condito con l’invidia di chi non accetta che la Sardegna possa cambiare pelle, che ci siano nuove generazioni di imprenditori, comunicatori, politici, professionisti che guardano avanti. Guerrini preferisce il fango al futuro, la denigrazione all’analisi, il sarcasmo alla competenza.
E allora basta. Basta con i sermoni ipocriti di chi ha vissuto di partiti e redazioni e oggi pretende di dettare la linea morale al mondo. Basta con la demagogia da pensionato con la penna tremolante che scambia la malinconia per indignazione.
La Sardegna ha bisogno di visione, di coraggio, di rischio. Non di giudici morali da quattro soldi che fingono di difendere la povera gente, ma in realtà difendono solo il loro ego.
Mario Guerrini è il simbolo di quella Sardegna che non cresce perché ha paura di tutto: del cambiamento, della spesa, dell’iniziativa privata, perfino dell’entusiasmo. Una Sardegna con il freno a mano tirato, che lui vorrebbe condannare a un eterno parcheggio davanti alla Corte dei Conti.
No, grazie. Ci teniamo le nostre idee, i nostri errori e la nostra voglia di fare.
Di vecchi moralisti travestiti da giornalisti, ne abbiamo già avuti abbastanza.















e poi scegli l'opzione