Nel tempo del massacro, chi tace è complice. Ma chi parla solo quando conviene, lo è due volte.
La tragedia palestinese è arrivata all’apice dell’orrore: migliaia di bambini uccisi, ospedali rasi al suolo, fame e sete come armi di guerra, l’UNRWA criminalizzata, le scuole trasformate in tombe. E mentre il mondo guardava, l’Italia, come sempre, fingeva di non vedere. A Roma, Meloni e Tajani si stringevano nelle mani insanguinate di Netanyahu. A Rai e La7 i volti della propaganda sionista monopolizzavano la narrazione. E nei palazzi delle Regioni, il silenzio. Colpevole. Osceno.
Tranne uno.
Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania, ha parlato chiaro da subito. Nessun giro di parole. Nessun balbettio istituzionale. Ha definito quello che succede a Gaza per quello che è: un genocidio. Ha preso posizione quando tutti scappavano, ha denunciato l’ipocrisia del governo, la brutalità di Netanyahu, la viltà dell’Occidente. Da solo. Senza furbizie, senza staff che gli scrivessero post cauti per “non dispiacere nessuno”. Ha detto la verità. E la verità, oggi, vale più di cento mozioni di compromesso.
E poi ci sono loro. I tre nani. Michele Emiliano (Puglia), Michele de Pascale (Emilia-Romagna) e Eugenio Giani (Toscana). Per mesi zitti, muti, distratti. Hanno visto le stesse immagini: bambini estratti senza testa dalle macerie, ospedali senza luce, medici che operano con le torce, madri che stringono coperte vuote. Hanno visto tutto, ma hanno aspettato. Hanno aspettato che l’opinione pubblica diventasse ingestibile. Hanno aspettato che i social, finalmente, urlassero. Che le piazze si riempissero. Che perfino la CNN cominciasse a dire che no, non è autodifesa: è sterminio.
Così il 1° giugno, in un coordinamento da “salviamo la faccia”, si sono finalmente mossi. Emiliano ha annunciato la sospensione delle relazioni istituzionali con Israele e l’esclusione dello Stato ebraico dalla Fiera del Levante. De Pascale, presidente della Regione Emilia-Romagna, ha emesso una dichiarazione fotocopia: anche qui stop a ogni rapporto istituzionale con il governo israeliano, finché “non sarà ripristinato il rispetto del diritto internazionale”. Parole prudenti, scolpite nel marmo dell’ambiguità diplomatica, con l’immancabile precisazione che “la misura non è contro il popolo israeliano, ma contro il governo di Netanyahu”. Una formula da lavata di coscienza, priva della forza etica e dell’urgenza che il momento richiede.
Eugenio Giani, per parte sua, ha colto l’occasione non tanto per parlare di Gaza, quanto per aprire a possibili primarie di coalizione con AVS, fiutando l’aria che tira e cercando un salvagente elettorale nella sinistra pacifista. Più che una scelta di campo, un passo calcolato verso la sopravvivenza politica. Nessuna rottura vera, nessuna parola forte. Solo un movimento strategico, dettato dal panico di perdere consensi.
Tutti con dichiarazioni ben pesate, con il guanto bianco del “non è contro Israele, ma contro il governo”. Tutti col desiderio disperato di non perdere l’appoggio delle lobby economiche e mediatiche sioniste, che da decenni colonizzano anche la sinistra italiana. Tutti affannati a ripulirsi l’anima con un comunicato stampa. Ma l’anima, signori presidenti, è già sporca. Perché non serve un comunicato quando serviva un grido. E voi avete scelto il silenzio.
I vostri partiti – PD in testa – sono da sempre impregnati di un sionismo becero e vigliacco. Lo si vede nella narrativa “equivicinista” che mette sullo stesso piano i razzi artigianali e le bombe al fosforo, il bimbo colpito da una pietra e quello decapitato da una JDAM da 500 chili. Lo si vede nelle nomine RAI, nelle redazioni, negli editoriali fotocopia che giustificano tutto. Fino a ieri, Israele era “democrazia in difficoltà”. Oggi è ancora “difesa sproporzionata”. Domani, quando anche la Storia vi travolgerà, direte che “non sapevate tutto”.
De Luca, invece, lo ha detto quando era pericoloso dirlo. Quando ti prendevano per pazzo. Quando le accuse di “antisemitismo” ti piovevano addosso anche se stavi solo leggendo il diritto internazionale. Ha avuto il coraggio che gli altri hanno sostituito con l’opportunismo. Non ha aspettato i sondaggi, non ha chiesto il permesso ai suoi spin doctor.
E la differenza è tutta lì. Tra chi è rimasto uomo, e chi è rimasto politico. Tra chi è sceso in piazza per la vita, e chi è salito sul podio per la propria immagine. Tra chi ha visto la morte dei bambini e ha detto basta, e chi ha visto i like calare e ha detto “ora parliamo anche noi”.
Non dimenticheremo. La memoria è una resistenza lunga. Ricorderemo chi ha avuto il coraggio della verità quando la verità era scomoda. Ricorderemo chi ha alzato la voce quando non conveniva. E chi ha taciuto aspettando il momento buono per salvarsi la faccia.
Ma l’anima, quella non si ripulisce.
Raimondo Schiavone