Blog di Raimondo Schiavone e amici

Dategli le pastiglie

Dev’essere in corso uno sciopero delle farmacie a Cagliari, perché da qualche giorno il nostro supereroe della tastiera, Mario Guerrini, sembra aver finito le pastiglie della calma. E allora, tra un post e l’altro, ha deciso di scendere di nuovo in campo – o meglio, sull’anello di Facebook – per lanciare il suo ennesimo allarme democratico contro il male assoluto: l’ingegner Domenico Bagalà, nuovo commissario dell’Autorità di Sistema Portuale della Sardegna.

Non conosco Bagalà, e forse neanche Guerrini, ma il tono è sempre quello: il giornalismo d’inchiesta senza inchiesta. Si prende un articolo del quotidiano “Domani”, si copia il titolo più infamante possibile (“amico dei clan”), si aggiunge un pizzico di indignazione prêt-à-porter, si mescola con due citazioni da carte giudiziarie e via: servito il post del giorno.

Eppure la vicenda è chiara: l’inchiesta che ha portato agli arresti nella Piana di Gioia Tauro – l’operazione “Res Tauro” – è seria, pesante, con 26 arresti tra gli esponenti del clan Piromalli. Nei documenti di quell’indagine compare anche il nome di Bagalà, citato per il periodo in cui aveva ruoli tecnici nel porto di Gioia Tauro. Ma la verità – quella che non fa notizia – è che non risulta indagato, né imputato, né tantomeno accusato di nulla. È semplicemente menzionato, come succede a centinaia di funzionari pubblici che operano in contesti difficili.

Solo che, nel paese del giustizialismo a comando vocale, “citato in atti” basta e avanza per la condanna preventiva. Così Guerrini, nella parte del piccolo Savonarola digitale, trasforma un dettaglio tecnico in un verdetto morale. E con la solita penna sguainata da giustiziere, si chiede perché nessuno “abbia avuto il coraggio di indagare”. Forse perché non c’è nulla da indagare, Mario. Forse perché le redazioni serie distinguono ancora tra cronaca e insinuazione.

Guerrini, come sempre, non accusa — insinua. Non denuncia — allude. Non giudica — condanna.
Il tutto rigorosamente senza che ci sia un’indagine in corso, una sentenza, o anche solo una verifica.
Basta essere “citati in atti” perché il nostro giustiziere social accenda il riflettore e, tra un “nessuno dice nulla!” e un “la stampa di regime tace!”, si autoproclami ultimo baluardo della verità.

In realtà, il copione è vecchio quanto Facebook: si parte con “io non ho nulla contro”, si prosegue con “ma il popolo ha diritto di sapere”, e si finisce con “è tutto molto grave, ma io non accuso nessuno”.
Una formula perfetta per spargere fango senza sporcarsi le mani.

Certo, capisco: un titolo così — “Bagalà, amico dei clan” — fa più click di “Bagalà, ingegnere nominato da Salvini, non indagato, ma citato in un’inchiesta”. Però forse, ogni tanto, una distinzione tra cronaca e calunnia, tra informazione e suggestione, tra giornalismo e gossip giudiziario, non guasterebbe.

E allora, davvero: dategli le pastiglie.
Quelle per la calma, per la coerenza e, se possibile, per la memoria. Perché il giustizialismo a orologeria è la vera malattia cronica della nostra informazione: colpisce sempre gli altri, mai chi scrive.

In fondo, basterebbe una dose minima di buon senso — due compresse al giorno, lontano da Facebook.

Raimondo Schiavone 

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