Blog di Raimondo Schiavone e amici

Damasco, sangue sulla Chiesa di Sant’Elia: l’attacco rivendicato da un gruppo alleato di Al Jolani. Ma il governo lo attribuisce all’ISIS

Non è stato lo Stato Islamico, come dichiarato inizialmente dalle autorità, a compiere l’attentato suicida che domenica sera ha colpito la chiesa ortodossa di Sant’Elia nel quartiere cristiano di Dweila, a Damasco. A rivendicare l’attacco, costato la vita ad almeno 25 civili e che ha provocato oltre 50 feriti, è stato il gruppo Saraya Ansar al-Sunna, una formazione jihadista legata alla galassia militare e politica riconducibile ad Ahmad al-Jolani – l’ex leader di Jabhat al-Nusra – oggi alla guida della cosiddetta “Siria pragmatica”.

In un comunicato diffuso tramite i loro canali Telegram, i miliziani di Saraya Ansar al-Sunna hanno rivendicato con orgoglio l’operazione, definendola una “giusta punizione contro gli infedeli protetti del regime crociato”. Hanno inoltre promesso nuovi attacchi contro la comunità cristiana siriana, definendola “un pilastro della putrefazione occidentale in Oriente”.

La notizia getta ulteriore ombra sul fragile e ambiguo assetto post-bellico siriano. Il nuovo governo insediatosi a Damasco dopo la caduta del presidente Bashar al-Assad – e guidato da una coalizione di forze islamiste “moderate” riunite attorno alla figura di Al Jolani – aveva accusato l’ISIS per l’attacco, salvo essere clamorosamente smentito dagli stessi autori. Una toppa peggiore del buco, che getta discredito sull’esecutivo e alimenta i timori su una complicità o quanto meno una tolleranza verso i gruppi radicali sunniti operanti nel Paese.

Il paradosso è evidente. Quella che i media occidentali hanno ribattezzato “la nuova Siria pragmatica” – o più sarcasticamente “Nasolandia”, dal nome di Nusra – si presenta come una piattaforma di riconciliazione, apertura e pluralismo. Ma dietro la patina riformista si celano i peggiori fantasmi della guerra settaria, oggi riciclati in cravatta nei palazzi del potere. Al Jolani, riabilitato dagli Stati Uniti e da alcuni settori europei in chiave anti-iraniana e anti-Hezbollah, sembra incapace – o forse poco desideroso – di controllare le milizie che, formalmente alleate, colpiscono sistematicamente le minoranze religiose.

La chiesa di Sant’Elia non è stata solo un bersaglio religioso. È stata un messaggio politico: i cristiani non sono benvenuti nella Siria del dopo-Assad. A Damasco si è consumata una delle peggiori stragi contro i fedeli da oltre dieci anni, un ritorno agghiacciante a dinamiche settarie che si pensavano archiviate. Ma la verità è che la Siria non è mai uscita davvero dalla guerra. Ha solo cambiato bandiera.

La rivendicazione di Saraya Ansar al-Sunna svela il nervo scoperto di questa transizione: un patto col diavolo, quello tra potenze occidentali, Turchia e fazioni jihadiste riciclate in chiave “governativa”, che hanno ottenuto il controllo di parte del Paese in cambio dell’abbattimento di Assad e della marginalizzazione dell’Asse sciita. Il risultato? Una Siria balcanizzata, ingovernabile, dove le minoranze sono ostaggi e le promesse di pluralismo un cinico inganno geopolitico.

Il mondo tace. L’ONU si limita a “condannare l’attacco” senza nominare i veri responsabili. Le cancellerie europee parlano di “vile gesto terroristico”, evitando di mettere in discussione l’architettura post-Assad che esse stesse hanno contribuito a costruire. E così la “Siria pragmatica” continua a versare sangue sotto la benedizione dei suoi sponsor internazionali.

I cristiani siriani, un tempo oltre il 10% della popolazione, oggi sono ridotti a una presenza simbolica. Ma quella simbolicità continua a essere un bersaglio. I nomi cambiano, le bandiere cambiano, ma l’odio resta. E oggi, come dieci anni fa, la Siria è ancora una terra martoriata da chi, in nome di Dio o della democrazia, porta solo distruzione.

Raimondo Schiavone