Mentre in Corsica si prende posizione con coraggio e chiarezza, in Sardegna si continua a navigare tra l’ambiguità e la passività. Il 28 giugno 2025 l’Assemblea della Corsica ha approvato una risoluzione che riconosce lo Stato di Palestina, definisce il massacro in atto a Gaza come un genocidio e chiede al governo francese di cessare la vendita di armi a Israele. Una scelta forte, di principio e di dignità, che onora la tradizione autonomista corsa e la sua vocazione internazionalista.
In Sardegna, invece, si resta fermi. Nessuna mozione, nessuna dichiarazione ufficiale né del Consiglio né del governo regionale, incapaci entrambi di assumersi una posizione netta. L’esecutivo regionale guidato da Alessandra Todde tace, limitandosi a generiche invocazioni alla pace, evitando accuratamente qualsiasi parola che possa disturbare l’establishment italiano o israeliano. La presidente si guarda bene dall’usare parole come “genocidio” o “Palestina libera”, mentre sui social scorrono le immagini di bambini bruciati vivi a Rafah, tra le macerie dei rifugi bombardati.
Il Consiglio regionale, da parte sua, produce solo chiacchiere. Incontri, eventi, convegni pseudo-culturali dove si parla di dialogo, di convivenza, ma mai si nomina l’occupazione, la pulizia etnica, l’apartheid. Neppure un atto formale, una mozione da mettere ai voti per chiedere, come hanno fatto Irlanda, Spagna, Slovenia e adesso la Corsica, che l’Italia riconosca lo Stato palestinese. Una vergogna politica che fotografa perfettamente la decadenza di un’assemblea regionale ormai ridotta a cassa di risonanza di vuote parole.
In tutto questo, il paradosso è evidente: una regione francese come la Corsica, con meno autonomia legislativa di quella sarda, riesce a far sentire la propria voce a livello internazionale. La Sardegna, invece, sembra prigioniera di un provincialismo codardo e clientelare. Le stesse forze che si riempiono la bocca di sardismo, indipendentismo, sovranità, tacciono quando si tratta di difendere il diritto di un altro popolo a non essere sterminato.
Sarebbe doveroso che la Sardegna, terra che conosce sulla propria pelle il peso della militarizzazione e della subordinazione geopolitica, alzasse finalmente la voce. Ma serve coraggio. Serve chiamare le cose con il loro nome. Serve dire, senza esitazioni, che a Gaza è in corso un genocidio, e che chi lo sostiene o lo minimizza è complice.
Eppure non tutto è perduto. In Consiglio regionale siedono anche donne e uomini liberi, consapevoli, capaci di alzare la testa. A loro rivolgiamo un appello: fate sentire la vostra voce, presentate una mozione, costringete l’Aula a pronunciarsi. Non accettate di essere complici silenziosi. Dimostrate che la Sardegna non è solo una terra bella e muta, ma anche giusta e coraggiosa.
La dignità non ha bisogno di permessi. La verità non ha bisogno di mediazioni. Il popolo palestinese ha bisogno del nostro coraggio, adesso.
Raimondo Schiavone