Blog di Raimondo Schiavone e amici

Catherine Connolly, la presidente irlandese che ha chiamato genocidio la tragedia di Gaza

Nel giorno del suo insediamento, Catherine Connolly, neo presidente della Repubblica d’Irlanda, ha pronunciato parole che hanno scosso l’Europa e infranto il muro dell’ipocrisia diplomatica. Ha parlato di Gaza, e lo ha fatto senza giri di parole: «Dobbiamo fermare la normalizzazione del genocidio». Una frase breve, diretta, che ha fatto il giro del mondo.

Connolly, già vicepresidente del Parlamento e voce indipendente del fronte progressista, ha voluto marcare subito la differenza tra la neutralità irlandese e il silenzio complice delle istituzioni occidentali. «Sfido tutti noi – ha detto – a reagire, a opporci al genocidio che si sta compiendo nel nostro nome, perché siamo complici». Parole pronunciate con la fermezza di chi non parla per convenienza, ma per coscienza.

Durante il suo discorso ha ricordato che l’Irlanda, nazione segnata da secoli di occupazione e povertà, non può fingere di non riconoscere la sofferenza di un popolo oppresso. «Non possiamo fidarci di governi come Stati Uniti, Regno Unito o Francia – ha affermato – perché sono profondamente coinvolti nell’industria delle armi che alimenta lo spargimento di sangue nel mondo». Una denuncia diretta alle potenze che, mentre parlano di pace, forniscono armi e copertura politica alle operazioni israeliane.

Connolly non ha usato mezzi termini: ha definito Israele «uno Stato genocida» e ha accusato la comunità internazionale di «collaborare attivamente al massacro di innocenti». La sua voce, spesso isolata nei dibattiti parlamentari, è diventata simbolo di un’Irlanda che non accetta di essere complice di un sistema che calpesta i diritti umani in nome di interessi economici e alleanze militari.

«Non possiamo più parlare di conflitto, di operazioni militari, di crisi umanitaria», ha continuato. «Queste parole nascondono la verità. A Gaza non c’è un conflitto: c’è un popolo intrappolato, bombardato, privato di acqua, cibo e futuro. Chiamarlo genocidio non è un’esagerazione, è un dovere morale».

La sua elezione, con oltre il sessantatré per cento dei voti, è stata interpretata da molti come la vittoria di un’Irlanda diversa, stanca delle formule diplomatiche e sensibile ai temi della giustizia internazionale. In un’Europa dove quasi tutti i governi hanno evitato di pronunciare la parola “genocidio”, Connolly ha scelto di farlo nel suo primo discorso da presidente.

Le reazioni sono state immediate: da Israele sono arrivate accuse di antisemitismo, da Bruxelles silenzi imbarazzati, dagli Stati Uniti irritazione. Ma in Irlanda, migliaia di cittadini hanno applaudito le sue parole. Perché in un tempo in cui la diplomazia è diventata la lingua dell’ambiguità, la voce della presidente Connolly è suonata come quella di un Paese che ha ancora memoria della fame, dell’occupazione e dell’ingiustizia.

«Non accetteremo mai la normalizzazione del genocidio, non accetteremo mai che la sofferenza diventi una statistica», ha concluso. «L’Irlanda sarà una voce per la pace, ma una pace fondata sulla verità, non sull’oblio».

Quelle parole – “genocidio”, “complicità”, “verità” – restano incise come un atto politico e morale. Un richiamo che attraversa l’Europa, ricordando che la pace non nasce dal silenzio, ma dal coraggio di dire le cose come sono.

Raimondo Schiavone 

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