Cagliari sta diventando, silenziosamente ma in modo inesorabile, una vera e propria meta turistica internazionale. Non più solo una tappa di passaggio per chi arriva in Sardegna, non più soltanto un porto per crociere o un aeroporto di transito. È diventata una destinazione autonoma, capace di attrarre flussi globali che scelgono la città per ciò che è: un mosaico di bellezza, storia, mare, cultura e autenticità. Un fenomeno che sorprende, se si pensa che è avvenuto non grazie alla politica, ma nonostante essa.
I dati più recenti raccontano una crescita solida. La città metropolitana di Cagliari ha superato i 2,2 milioni di presenze turistiche nel 2024, con un aumento a doppia cifra rispetto all’anno precedente. La Sardegna nel complesso ha registrato quasi 19 milioni di presenze, ma è a Cagliari che si concentra la novità: la città si è emancipata dal modello balneare e ha conquistato un ruolo urbano e internazionale. Sempre più stranieri la scelgono per weekend, city break, eventi e congressi. Si tratta di un flusso qualificato, non legato ai voli low cost o alle crociere mordi e fuggi, ma a un turismo esperienziale che cerca qualità, autenticità e identità mediterranea.
Ciò che colpisce è che tutto questo accade senza una regia politica degna di questo nome. Mentre la Regione continua a spendere milioni in promozione balneare, Cagliari cresce da sola, spinta dall’iniziativa privata, dal talento imprenditoriale dei suoi operatori, dalla vitalità della ristorazione, dell’accoglienza e della cultura. È un fenomeno endogeno, che nasce dalla città stessa e dalla sua capacità di valorizzarsi, più che da strategie coordinate.
Eppure basta passeggiare per il centro per cogliere le contraddizioni di questo successo. Tombini maleodoranti, strade sporche, manutenzione assente, spazi pubblici trascurati. L’immagine urbana non è all’altezza del potenziale turistico e culturale che la città esprime. È come se Cagliari fosse una bellissima donna costretta a presentarsi a un ricevimento con un vestito stropicciato: il fascino rimane, ma l’impressione è di sciatteria e di disattenzione.
Il merito di questa crescita non va dunque alla politica, ma a chi ogni giorno apre locali, ristruttura case, organizza eventi, promuove esperienze, investe tempo e denaro credendo nel valore della città. Gli imprenditori, gli albergatori, i ristoratori, gli operatori culturali e del tempo libero sono i veri ambasciatori di Cagliari nel mondo. Mentre i politici — regionali e comunali — sembrano ancora fermi a logiche vecchie, incapaci di interpretare il cambiamento.
Da anni si parla di “destinazione Sardegna”, ma il mondo è cambiato. La Sardegna è ancora prigioniera di un’immagine balneare, stagionale e costosa, mentre Cagliari si muove in controtendenza, offrendo un modello urbano aperto tutto l’anno. È tempo di riconoscerlo e di programmare diversamente la promozione turistica dell’isola, mettendo Cagliari al centro di una strategia di sviluppo sostenibile, internazionale e culturale.
Perché se è vero che Cagliari ha una forza propria, è altrettanto vero che ogni motore ha bisogno di manutenzione, direzione e carburante. E se la politica continuerà a ignorare ciò che accade sotto i suoi occhi, il rischio è che questa crescita si disperda o si banalizzi. L’inerzia amministrativa può logorare anche i fenomeni più spontanei.
Prendiamone atto: Cagliari oggi è un esempio di come la bellezza, l’imprenditorialità e la vitalità civile possano superare la mediocrità politica. Ma questa non è una buona notizia per chi governa: è un atto d’accusa. Significa che la città cammina da sola perché chi dovrebbe guidarla dorme. E come si dice dalle nostre parti, a lavare la testa all’asino si consuma solo il sapone.
Raimondo Schiavone
e poi scegli l'opzione