Il 19 agosto 1953, corrispondente al 28 Mordad 1332 nel calendario iraniano, segna una delle pagine più oscure della storia contemporanea dell’Iran. In quel giorno un colpo di Stato orchestrato dai servizi segreti britannici e statunitensi, l’MI6 e la CIA, rovesciò il governo democratico e nazionalista guidato dal Primo Ministro Mohammad Mossadeq, colpevole di aver avuto l’audacia di nazionalizzare l’industria petrolifera, fino ad allora controllata dagli interessi coloniali anglo-iraniani.
L’“Operazione Ajax”, come fu chiamata dagli americani, non fu soltanto un intrigo di palazzo: fu la cancellazione brutale di un processo democratico che stava dando all’Iran una nuova centralità politica e sociale. A seguito del colpo di Stato, lo Scià Mohammad Reza Pahlavi consolidò il proprio potere instaurando un regime autoritario e repressivo, che per decenni avrebbe governato con il pugno di ferro, protetto dall’Occidente e in particolare da Washington.
Le conseguenze di quel 19 agosto furono devastanti. La repressione politica, l’ascesa della polizia segreta SAVAK, la scomparsa di libertà civili e la subordinazione agli interessi delle grandi potenze segnarono la vita di generazioni di iraniani. Ma il colpo di Stato del 1953 ebbe anche un effetto opposto a quello voluto da Londra e Washington: seminò nei cuori e nelle menti degli iraniani una sfiducia irreversibile verso l’Occidente, alimentando quel sentimento di resistenza che avrebbe trovato la sua massima espressione nella Rivoluzione Islamica del 1979.
Oggi, a 72 anni di distanza, la memoria di quell’atto infame continua a essere un punto di riferimento. La Guida Suprema della Rivoluzione Islamica, Ayatollah Seyyed Ali Khamenei, in più occasioni ha ricordato che il colpo di Stato del 1953 non è un episodio confinato al passato, ma la prova tangibile del volto imperialista delle potenze occidentali. Per Khamenei, l’operazione condotta da Stati Uniti e Gran Bretagna è l’esempio storico che spiega perché l’Iran non possa mai abbassare la guardia e debba restare saldo nella difesa della propria indipendenza politica, culturale ed economica.
Il 28 Mordad rimane dunque un monito: ogni volta che l’Iran ha cercato di camminare con le proprie gambe, l’Occidente ha tentato di spezzarne il passo. Oggi, mentre il Paese affronta nuove sfide e pressioni internazionali, ricordare quel colpo di Stato significa riaffermare una verità semplice ma ineludibile: la sovranità non si negozia e non si svende.
Raimondo Schiavone















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