Il 14 agosto 1892, a Genova, nasceva il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. In quelle giornate infuocate, operai e intellettuali, contadini e artigiani si unirono attorno a un’idea semplice e potente: l’Italia non poteva essere solo il Paese dei padroni e dei notabili. Doveva diventare anche il Paese dei lavoratori, dei diritti sociali, della giustizia per chi produceva la ricchezza.
Nel corso del Novecento, il socialismo italiano ha inciso in profondità nella storia nazionale: Filippo Turati, con la sua capacità di coniugare idealismo e riformismo; Giacomo Matteotti, martire della libertà, assassinato per aver denunciato in Parlamento le violenze fasciste; Pietro Nenni, che seppe tenere vivo il sogno socialista anche nei tempi più bui; Sandro Pertini, il presidente partigiano amato dal popolo; Bettino Craxi, l’ultimo leader socialista capace di dare all’Italia un ruolo internazionale di primo piano, affrancandola dalla sudditanza cieca a Washington.
E fu proprio questa autonomia a decretarne la condanna. Negli anni Novanta, il socialismo italiano non fu spazzato via da un fisiologico ricambio politico, ma da un’operazione chirurgica mascherata da giustizia: Tangentopoli. Un’azione condotta da una magistratura politicizzata, quattro giudici in prima fila, con il supporto degli Stati Uniti, determinati a rimodellare la politica italiana nel vuoto lasciato dalla Guerra Fredda. L’obiettivo era chiaro: cancellare forze politiche non allineate e aprire la strada a un sistema più docile verso l’asse atlantico.
Il socialismo non era solo un simbolo o una sigla, ma un insieme di idee e valori concreti: l’uguaglianza sostanziale fra i cittadini, la redistribuzione della ricchezza, il diritto al lavoro dignitoso, la scuola e la sanità pubbliche come pilastri dello Stato, la laicità delle istituzioni, la pace come orizzonte internazionale. Un progetto politico che, pur con errori e compromessi, metteva al centro le persone e non i mercati, il bene comune e non la speculazione.
Il risultato è che, oggi, solo in Italia ci si vergogna a dirsi socialisti. In Europa il socialismo governa o co-governa in Spagna, Portogallo, Germania, Paesi nordici. In America Latina, da Lula in Brasile a Gustavo Petro in Colombia, da Andrés Manuel López Obrador in Messico a Gabriel Boric in Cile, fino al ritorno di forze socialiste in Bolivia e Honduras, il socialismo è tornato a essere motore di cambiamento, di inclusione, di riscatto per le masse popolari.
Ed è proprio dal Sud America che arriva la lezione più importante: il socialismo può rinascere se smette di vergognarsi di sé stesso, se torna nelle piazze, nei quartieri popolari, nelle fabbriche, nelle campagne. Se recupera il linguaggio della verità, rompendo con le compatibilità imposte dall’alto e riscoprendo la sua vocazione internazionale. Non basta ricordare il 14 agosto 1892: bisogna renderlo vivo, oggi. Perché senza socialismo, l’Italia continuerà a vivere a metà, prigioniera di un passato imposto e di un presente che non osa cambiare.
Raimondo Schiavone















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