È ormai palese: la politica estera statunitense in Medio Oriente non è più scritta a Washington, ma a Tel Aviv, o meglio, nelle stanze opache del Mossad e nei bunker di guerra di Benjamin Netanyahu. Donald Trump, tornato al potere nel 2024 come l’“uomo forte” della nazione, si comporta più come un pupazzo agitato da fili israeliani che come il comandante in capo della superpotenza mondiale. Non decide, firma. Non governa, esegue. Non guida, obbedisce.
Dietro il teatrino delle minacce, delle dichiarazioni muscolari e dei proclami posticci, c’è un presidente che ignora perfino i dettagli delle operazioni militari più delicate. Secondo fonti sempre più insistenti, in diversi casi l’intelligence americana è stata bypassata del tutto: sono gli apparati israeliani a fornire “fatti compiuti” agli Stati Uniti, mentre il Mossad agisce indisturbato, con totale autonomia, compiendo omicidi mirati, sabotaggi, provocazioni internazionali — e lasciando a Trump solo il compito di coprire tutto con un tweet, un embargo o una minaccia formale all'Iran o al Libano.
Il punto più basso è stato toccato con l’assalto israeliano alle strutture militari iraniane nel cuore del territorio persiano, operazione che – secondo indiscrezioni della stampa cinese e russa – è stata gestita interamente dai servizi israeliani con il solo scopo di trascinare l’Iran in una guerra totale, mentre Washington fingeva di “mediare”. La Casa Bianca è stata informata a operazione in corso, costretta ad adeguarsi e fingere fermezza.
Questa non è più diplomazia: è schiavitù politica. È l’atto finale di una decadenza americana che ha smarrito non solo il senso della propria leadership, ma anche la capacità di autodeterminarsi. Il Pentagono serve da base logistica per i raid israeliani. Il Dipartimento di Stato funge da ufficio stampa del governo Netanyahu. Trump, tra un comizio e una causa giudiziaria, si limita a recitare il copione.
E non è una colpa solo di Trump. È la continuità malata di tutto l’apparato politico americano, che da Obama a Biden ha preferito inchinarsi piuttosto che governare. Ma Trump, con il suo stile da casinò e la sua diplomazia da talk show, è la caricatura perfetta di questa resa. Non ha neppure la lucidità per comprendere di essere solo una pedina. Gli basta tenere buoni gli evangelici, garantire armi a Israele, e continuare a gridare “America First” mentre serve gli interessi di altri.
E intanto il mondo osserva, sgomento. Perché se la superpotenza cede il suo cervello strategico a un’agenzia di intelligence straniera, il disastro è globale. Il rischio non è solo il caos in Medio Oriente: è la dissoluzione dell’ordine mondiale, trasformato in una farsa di sovranità apparente e dipendenza reale.
Ma l’Europa? Resta lì, come un vaso di fiori in salotto. I suoi leader, più attenti ai sondaggi che alla storia, oscillano tra il servilismo verso la NATO e un vuoto cosmico d’iniziativa. Persino nei momenti più gravi, come l’attacco israeliano all’ambasciata iraniana in Siria o i bombardamenti indiscriminati su Gaza, Bruxelles è riuscita nell’impresa storica di non dire nulla di significativo. Quando ha parlato, lo ha fatto con parole d’ordine da marketing diplomatico: “moderazione”, “dialogo”, “de-escalation”. Parole di plastica, mentre i bambini bruciano, i medici muoiono, e i missili piovono sulle città.
L’unico Paese “attivo” è la Gran Bretagna, ma attivo nel senso peggiore: in ginocchio come sempre, servile e militarizzato, pronta a fornire armi, logistica, spie e propaganda, pur di restare agganciata al carro della guerra. Il “regno unito” dell’imperialismo riflesso, sempre al servizio dell’ordine imposto dalle bombe.
Intanto, nel Sud globale, nei Paesi del BRICS, in Africa, in Asia, si osserva con crescente diffidenza. Il discredito dell’Occidente non nasce dalla propaganda russa o cinese, ma dai fatti. Dai corpi sotto le macerie, dalla protezione accordata agli aggressori, dalla totale incoerenza tra valori proclamati e pratiche concrete.
Il “modello occidentale” non è più esportabile perché non è più credibile. E Trump, in questa tragedia, ne è la caricatura definitiva: un presidente che non legge i dossier, non coordina la sicurezza, non ascolta il Pentagono, e si limita a dire “good job” a chi, nel Mossad, sta incendiando il mondo.
E allora la domanda non è più: dove stiamo andando?
La domanda vera è: chi comanda davvero oggi l’Occidente?
Perché se un’agenzia di intelligence estera guida la potenza militare più grande del mondo, allora non siamo davanti a un’alleanza.
Siamo davanti a un colpo di Stato silenzioso. Globale e criminale.
Raimondo Schiavone