C’è un curioso modo, ormai squisitamente sardo, di raccontare i fatti pubblici: parlare di tutto tranne che del problema del giorno.
Mario Guerrini, nel suo “Osservatorio”, dedica un intero sermone — lungo, articolato, appassionato — ai mali eterni della Sardegna: sanità, acqua, massoneria, concorsi, Santoni e Salviniani di passaggio. Tutto giusto, tutto vero, tutto noto. Peccato che la notizia vera, quella che grida da sola, sia stata liquidata in una riga: l’affidamento ad una società esterna della revisione della Legge Regionale n. 7 del 1955 sul turismo.
Una riga.
Una sola.
Come se fosse un dettaglio tecnico da ufficio gare, un refuso marginale nella lunga litania dei mali isolani.
E invece no: è l’atto più grave di questa legislatura, un gesto che definire politico è generoso.
Perché qui non si parla di un appalto per rifare una rotatoria o sistemare una sedia ergonomica in assessorato: qui si è deciso di esternalizzare una funzione legislativa, di far scrivere da una società privata la revisione della legge che regola la promozione turistica della Sardegna.
E il protagonista di questa brillante operazione è l’assessore Franco Cuccureddu, un nome che da solo è ormai sinonimo di smarrimento politico.
Uno che il turismo non lo rappresenta, lo subisce.
Che invece di ascoltare operatori e territori, appalta il pensiero.
Che invece di scrivere, firma affidamenti diretti.
E che, in un’Isola che vive di turismo, riesce a trasformare il principale settore economico in un cantiere di improvvisazioni e malumori.
Altro che Santoni o concorsi truccati: il vero miracolo è che Cuccureddu sia ancora in carica.
Perché dopo un atto del genere, in qualsiasi Regione seria, sarebbe già arrivata una mozione di sfiducia bipartisan, firmata da maggioranza e opposizione.
E non per vendetta politica, ma per dignità istituzionale.
Perché la legge non si appalta, e chi lo fa perde la legittimità di restare al suo posto.
Eppure tutto tace.
Tace la Giunta, tace la maggioranza, tace perfino l’opposizione, forse distratta dal prossimo post da pubblicare o dal viaggio di rappresentanza.
Nessuno che dica una parola, nessuno che si indigni, nessuno che difenda il Consiglio regionale dal suo stesso svuotamento.
Forse hanno ragione loro: in fondo, se si possono comprare leggi come si compra una consulenza, a cosa servono più i consiglieri regionali?
Tanto vale fare come suggerisce l’ironia amara dei cittadini: “chiudiamo il Consiglio e assumiamo trenta consulenti per scrivere le norme, costano meno e lavorano in silenzio”.
La verità è che Cuccureddu non ha solo firmato una delibera: ha firmato la resa della politica.
Ha detto al mondo che la Regione Sardegna non è più capace di scrivere da sé le proprie leggi, che la sua Giunta è un ufficio appalti travestito da governo, e che l’assessorato al turismo è diventato un laboratorio di outsourcing istituzionale.
Un atto grave, insopportabile, che richiede una risposta immediata.
Non un’altra riga in un post distratto, ma una presa di posizione vera.
Perché il silenzio è complicità, e la complicità in politica si chiama codardia.
Cuccureddu dovrebbe dimettersi oggi stesso, non per eleganza, ma per rispetto.
E se non lo farà, allora il Consiglio — se vuole dimostrare di esistere ancora — deve sfiduciarlo insieme, maggioranza e opposizione unite per una volta nel nome della decenza.
Altrimenti, che restino pure le società esterne a fare le leggi.
Tanto la politica, in Sardegna, pare non averne più il coraggio.














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