Il mestiere del giornalista non è un mestiere come gli altri. Impone regole stringenti di correttezza, accuratezza e responsabilità, soprattutto quando si trattano temi giudiziari o si citano nomi e fatti di persone coinvolte in procedimenti penali. Questo vale sempre, anche quando un giornalista pubblica un'opinione su un social network personale: perché la Carta dei Doveri del Giornalista e il Testo Unico della Deontologia valgono ovunque ci sia informazione pubblica, non solo nei quotidiani ufficiali.
Alla luce di questi principi, desta preoccupazione l’ultimo scritto diffuso da Mario Guerrini, in cui l’autore – presentandosi come osservatore politico e sostenitore della presidente Alessandra Todde – attacca duramente esponenti della precedente giunta regionale sarda, facendo nomi, attribuendo reati e impiegando un linguaggio ai limiti dell’insulto personale. Non si tratta più solo di critica politica, che è legittima, ma di un uso scorretto della parola pubblica che viola più articoli del codice deontologico.
Nel testo, Guerrini definisce Christian Solinas “pluriinquisito per corruzione e riciclaggio”, Gavino Mariotti “accusato di essere un boss mafioso” e Giovanni Satta “condannato a otto anni e mezzo per traffico di droga con bande albanesi”. Il problema è duplice: da un lato si omette qualsiasi precisazione sullo stato delle indagini o dei processi, e dall’altro si utilizzano termini che presuppongono una colpevolezza definitiva, anche quando – come nel caso di Satta – esiste solo una condanna di primo grado, dunque non ancora definitiva.
Secondo l’articolo 8 del Testo Unico dei Doveri del Giornalista, “il giornalista è tenuto al rispetto della presunzione di innocenza. In presenza di procedimenti giudiziari, deve esplicitare lo stato del procedimento”. La Carta è chiara: non si possono attribuire condotte criminali a persone che non hanno una sentenza passata in giudicato, né usare appellativi che evochino sentenze morali irrevocabili.
Guerrini definisce la precedente legislatura come “pestilenziale”, parla del “fetore del malaffare” e accusa di “catastrofe politica e morale” tutta la classe dirigente passata, utilizzando un linguaggio fortemente denigratorio, senza alcun contraddittorio, senza citare fonti documentali e senza che alle persone accusate venga riconosciuto il diritto di replica.
L’articolo 2 della Carta dei Doveri impone che il giornalista “eviti espressioni e immagini lesive della dignità della persona”, e che mantenga sempre un “linguaggio misurato, rispettoso, equilibrato”. In un’epoca in cui il giornalismo è anche lotta contro la polarizzazione e l’odio, è grave che un professionista utilizzi la parola con toni così carichi e distruttivi.
Nell’intervento non vi è alcun tentativo di dare voce alle persone accusate o alle forze politiche criticate. L’articolo 9 della deontologia giornalistica impone esplicitamente di assicurare il contraddittorio e dare conto delle posizioni delle persone coinvolte, o quanto meno di specificare che non è stato possibile ottenere una loro dichiarazione. Questo elemento è completamente assente nello scritto di Guerrini, il quale si limita ad attaccare e giudicare, senza alcun bilanciamento.
È importante ricordare che la responsabilità deontologica del giornalista non si esaurisce sulla carta stampata o nei telegiornali. L’Ordine dei Giornalisti ha più volte ribadito che le norme etiche valgono anche quando il giornalista esprime opinioni sui social, soprattutto se firma i post con il proprio nome professionale e si rivolge a un pubblico ampio.
Quello che si scrive pubblicamente, anche su Facebook, Instagram o Twitter, è soggetto alle stesse regole di veridicità, correttezza, presunzione di innocenza e rispetto della persona. Non può essere usata come scudo la presunta "opinione personale", soprattutto quando si nominano persone e si attribuiscono fatti gravi.
Sostenere una parte politica è legittimo, così come lo è criticare un’avversaria. Ma farlo violando la dignità delle persone, la correttezza delle informazioni giudiziarie, e il diritto di difesa – anche solo verbale – trasforma il giornalismo in militanza tossica. L’articolo di Mario Guerrini, per come è stato scritto e pubblicato, non rispetta i fondamenti etici della professione giornalistica.
Chi scrive per mestiere ha una responsabilità: quella di non usare la parola come una clava, soprattutto quando si tratta di reputazioni e vicende giudiziarie ancora aperte. La critica politica può essere dura, ma non può mai violare le regole fondamentali della giustizia e del rispetto umano. Altrimenti non è giornalismo: è solo veleno.
Raimondo Schiavone