Blog di Raimondo Schiavone e amici

Quando la menzogna si traveste da verità: il delirio dei giusti autoproclamati

La menzogna più pericolosa non è quella raccontata a bassa voce, né quella sussurrata con vergogna. No, la menzogna più tossica è quella urlata da chi è convinto di stare dalla parte giusta. È quella che nasce dall’arroganza morale di chi si crede portatore sano di verità, quando invece è infetto di superbia, disonestà e calcolo. Una menzogna che non viene più riconosciuta come tale, perché chi la pronuncia ha smesso da tempo di dubitare. E il dubbio, si sa, è l’unico vero antidoto alla falsità.

C’è una genìa di nuovi “giusti”, di sedicenti moralisti da tastiera e microfono, che parlano come se avessero avuto l’investitura divina a distinguere il bene dal male. Sono i delatori professionisti, quelli che non vivono se non sputando veleno sugli altri, convinti che la distruzione altrui sia la prova della loro integrità. Falsi apostoli di una giustizia che non conoscono, perché nel loro cuore hanno solo rancore e vanità. Scrutano le vite altrui come pubblici ministeri mancati, sognando di essere i nuovi Torquemada del web.

Accanto a loro, i cattivi informatori: quelli che piegano i fatti alla loro comoda visione delle cose. Omettono, manipolano, travisano. Non per errore, ma per mestiere. Hanno imparato che si può “informare” anche mentendo, basta farlo con fermezza, con il tono giusto, con l’apparente obiettività dei numeri. Sono loro a rifornire i finti indignati di materiale tossico, a seminare ambiguità, a costruire notizie come si costruiscono trappole.

E poi ci sono i giornalisti ipocriti, forse i più pericolosi. Perché si presentano come garanti dell’etica pubblica, come difensori della democrazia, come paladini della trasparenza. Ma dietro l’impalcatura della professione, nascondono interessi, carriera, viltà. Sorridono in tv, pontificano nei talk show, fanno finta di interrogare quando invece assolvono o condannano in base a logiche di potere. Hanno smesso di fare domande per paura delle risposte.

Infine, gli amici finti, che sono il veleno quotidiano che ognuno di noi si trova a dover ingerire. Sono quelli che ti ascoltano per giudicarti, che ti confortano per riferire, che ti abbracciano per controllare meglio dove colpirti. Persone che hanno fatto del rapporto umano una strategia, del dolore altrui una moneta di scambio, dell’apparenza un’armatura lucida sotto cui non c’è nulla. Persone che si convincono di essere “oneste” solo perché hanno recitato così a lungo da non sapere più chi sono davvero.

Ecco allora che mentire non è più un’azione: è una condizione. Si diventa menzogna. Si abita nella falsità come si abita una casa. Si guarda il mondo da una finestra deformata, si ascolta con orecchie sorde, si parla con una voce che non è più la nostra. E ci si convince, giorno dopo giorno, di essere nel giusto. Anzi, di essere gli unici ad avere capito tutto.

E invece si è soltanto ciechi convinti di vedere. Sordi convinti di predicare. Vuoti convinti di essere pieni.

La verità non ha bisogno di essere proclamata. Non si grida, non si impone, non si difende con arroganza. La verità è come l’acqua limpida: scorre, anche se la copri di fango, anche se provi a deviarla. Ma per riconoscerla bisogna avere occhi puliti e cuore disarmato. E questo, a chi vive di menzogna, non è più concesso.

Questa società, infettata da moralismi di comodo, da indignazioni pilotate e da ipocrisie decorate, ha bisogno urgente di silenzio, di verità scomode, e di parole non pronunciate per piacere, ma per amore. Amore per la giustizia, quella vera. Quella che non ha padroni.

Ma per trovarla, serve una cosa che molti hanno perso: il coraggio di non mentire a sé stessi.

E allora forse, un giorno, torneremo a riconoscere la verità. Senza bisogno di crederci santi per sentirci meno colpevoli.

Raimondo Schiavone 

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