Ci sono uomini che passano la vita a seminare veleno, convinti che la delazione sia una forma nobile di militanza civile. Denunciano, insinuano, alludono. Costruiscono castelli di carte sperando che prima o poi qualcuno ci cada sotto. È il caso emblematico di Mariano Meloni, di Macomer, ex militante della moralità presunta, oggi certificato – anche dalla Procura della Repubblica di Nuoro – per quello che è: un delatore senza fondamento, un accusatore compulsivo che ha scambiato la giustizia per una clava personale.
Il procedimento penale N. 2591/2023 R.G. notizie di reato mod. 21, appena archiviato su richiesta del Pubblico Ministero Riccardo Belfiori, rappresenta molto più di un semplice atto giudiziario: è una sentenza morale contro la cultura della calunnia, contro quelli che, come Meloni, credono che basti una denuncia per infangare chi lavora onestamente.
Meloni aveva preso di mira la dirigente della Provincia di Nuoro Fabrizia Sanna, colpevole, secondo lui, di aver affidato servizi pubblici in modo illegittimo – guarda caso a società collegate al sottoscritto, Raimondo Schiavone: imprenditore, editore, promotore culturale, trasformato artatamente in bersaglio di una campagna velenosa e martellante. Si parlava di appalti, di conflitti d’interesse, di progetti culturali legati alle celebrazioni deleddiane – in particolare il progetto “150 anni di Grazia. Una donna dei nostri tempi”.
Meloni ha gridato allo scandalo. E a spalleggiarlo – con entusiasmo degno di miglior causa – ci ha pensato Sardinia Post, che col suo solito ghigno moralista da salotto si è premurata di costruire un teorema mediatico fatto di sospetti e insinuazioni, ma privo di qualsiasi prova.
Titoli come “Affidamenti a raffica a società collegate a Schiavone: Nuoro come Chicago anni ’30?” (Sardinia Post, 18/04/2023) o “Il libro su Grazia Deledda pagato con fondi pubblici e spedito da una ditta amica” (Sardinia Post, 07/06/2023) hanno puntato il dito con forza contro il sottoscritto e le mie società, senza una minima verifica di merito, senza nemmeno attendere l’esito delle indagini.
Per loro il sospetto è già condanna, l’odore del fango vale più dei documenti. Lavorare, creare, progettare – è diventato, a quanto pare, un reato morale. A Sardinia Post, ovviamente avevano fatto eco l’Unione Sarda e cassa di risonanza il blog del concittadino di Meloni, Paolo Maninchedda.
E invece i documenti parlano chiaro.
La Procura ha svolto i suoi accertamenti: ha analizzato tutte le determine di affidamento, ha acquisito hard disk, cellulari, documenti interni, ha esaminato persino l’operatività di fondazioni come la ITS Blue Zone per valutare eventuali conflitti d’interesse.
E cosa ne è venuto fuori? Il nulla. Anzi, meno del nulla: un castello accusatorio che si sbriciola al primo tocco.
Nessuna collusione. Nessun vantaggio illecito. Nessuna procedura irregolare.
E così il tentativo goffo di trasformare l’operato di un’amministrazione pubblica trasparente e dinamica in una “tangentopoli culturale” è fallito. Con buona pace dei titolisti d’assalto di Sardinia Post e degli inquisitori in pantofole come Meloni e dei suoi sodali.
Ma c’è di più. Il PM Belfiori lo scrive nero su bianco: non solo non c’è reato, ma le presunte “irregolarità” contestate dallo zelante Meloni non sono nemmeno rilevanti sotto il profilo amministrativo. Altro che bomba giudiziaria, era un petardo bagnato.
Ma a spazzare via ogni residuo dubbio è intervenuto, con atto formale e definitivo, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Nuoro, dott. Mauro Pusceddu, che con decreto depositato nel fascicolo 2025/1 NOTI G.I.P., ha disposto l’archiviazione piena del procedimento nei confronti di Fabrizia Sanna. Il fatto non sussiste.
In sintesi: né reato, né comportamento illecito. Non un vizio di forma. Ma l’inesistenza sostanziale e giuridica delle accuse. Il Dott. Pusceddu scrive testualmente “Le ragioni addotte dal P.M. nell’istanza sono pienamente condivisibili e da intendersi qui integralmente trascritte in merito alla insussistenza degli elementi oggettivi del reato ipotizzato”.
Un doppio colpo per il delatore, che si era lasciato andare a considerazioni che oltrepassavano i fatti, che insinuavano sospetti, che andavano ben oltre la ricostruzione dei fatti. Un verdetto netto, limpido, inappellabile: l’intero impianto accusatorio si dissolve in un’archiviazione totale, con tanto di ordine di restituzione degli atti e del materiale sequestrato, e autorizzazione al rilascio di certificati a chi ha subito questa persecuzione.
Chi risarcisce ora le persone trascinate nel fango?
Chi restituisce a Fabrizia Sanna – dirigente stimata, competente, che ha lavorato per valorizzare la cultura sarda e le celebrazioni deleddiane – la serenità sottratta da mesi di insinuazioni?
Chi rimborsa il tempo e la dignità persi da me, Raimondo Schiavone, che mi sono trovato a dover giustificare, davanti al fango mediatico e giudiziario, progetti di valore, riconosciuti pubblicamente, realizzati con trasparenza e secondo legge?
A volte i delatori dimenticano – o forse non gliene importa affatto – che dietro i nomi che scrivono con leggerezza nelle loro denunce c’è una vita intera. C’è una madre che si sveglia la notte col cuore stretto dall’ansia, un padre che cammina in silenzio con la dignità ferita, dei figli che non capiscono perché il nome del loro genitore viene infangato.
Dietro ogni nome chiamato in causa c’è una storia, un volto, una famiglia che soffre.
Chi si nutre di sospetto e lo riversa sugli altri con livore e leggerezza, spesso non ha il coraggio di guardare le conseguenze umane delle sue azioni. Non vede le lacrime, non sente il silenzio che cade nelle case colpite, non capisce che distruggere la reputazione di una persona significa spesso ferire anche chi la ama, la rispetta, la accompagna nella vita.
La miseria umana di questi individui è mostruosa. Non c’è nobiltà nella delazione ossessiva, solo vigliaccheria travestita da moralismo. E quando si accaniscono contro chi lavora, chi crea, chi si espone, lo fanno senza alcun rispetto per l’umanità che c’è dietro. Come se il dolore altrui fosse un danno collaterale accettabile. Come se la dignità potesse essere calpestata per una vendetta personale o per un po’ di visibilità.
Ma non c’è calunnia che non lasci cicatrici, e non c’è silenzio più colpevole di quello di chi guarda e tace.
Eppure, per quanto provino a piegare la verità, ci sarà sempre un giorno in cui la giustizia rimette ogni cosa al suo posto.
Meloni, si sa, non è nuovo a questi atteggiamenti. Più volte ha cercato di passare per “paladino della legalità”, ma la verità è che la sua è una crociata personale, rancorosa, sterile, destinata a schiantarsi contro i fatti. La sua idea di giustizia è una caricatura vendicativa: pretende che chi lavora venga punito, che chi costruisce venga affondato.
Ma la giustizia vera – quella degli atti, delle indagini, dei PM che non si piegano alla gogna mediatica – non funziona così. E stavolta gliel’ha dimostrato. Le sue accuse si sono sgonfiate, le sue teorie cospirazioniste sono evaporate.
Resta l’amarezza per un sistema che troppo spesso dà spazio e voce a chi urla di più, anziché a chi dice la verità.
Resta il danno umano, politico, reputazionale. Mesi di mancate risposte da clienti intimoriti dal bullismo giornalistico e dalla delazione di certi personaggi. Perdite di fatturato e di conseguenza licenziamenti. L’umiliazione di sentirsi additati per cose non commesse, come se lavorare potesse essere considerato un reato.
Ma resta anche la soddisfazione di aver vinto senza sporcare le mani, senza replicare con le stesse armi vili degli accusatori.
Mariano Meloni voleva giustizia a modo suo. Ha trovato invece la legge. E ci si è schiantato.
E chi si nutre di fango, alla lunga, finisce per affogarci. E da domani inizia una nuova storia, perché spesso da accusatori si può passare ad accusati perchè anche la delazione è un reato.
Raimondo Schiavone