Non è più il tempo delle analisi, dei distinguo, dei comunicati ipocriti delle cancellerie occidentali. Oggi, la notizia – dura, limpida, inconfutabile – è che l’Iran sta devastando Israele. Non è propaganda, non è fantapolitica: è realtà. Una realtà che prende forma tra i detriti delle basi militari israeliane colpite, nei sistemi radar oscurati, negli allarmi che non cessano mai, nella popolazione israeliana che finalmente sperimenta, anche solo in minima parte, cosa significhi vivere sotto una pioggia di fuoco.
Il mitizzato “Iron Dome”, quell’ombrello difensivo esaltato per anni come tecnologia invincibile, fa acqua da tutte le parti. I missili iraniani, precisi, multipli, ipersonici, stanno penetrando la cortina di difesa israeliana con una facilità disarmante. Non si tratta più di razzi artigianali di Hamas: sono strumenti militari di ultima generazione, pianificati da un esercito che ha aspettato il momento giusto per colpire. E il momento è arrivato. Dopo l’ennesima provocazione sanguinaria di Israele – l’assassinio di alti funzionari iraniani sul proprio suolo – la risposta non è più contenibile. Teheran ha deciso di non fermarsi.
Le autorità iraniane parlano apertamente: questa non è un’operazione dimostrativa, è una risposta strategica, a lungo termine, che non si arresterà finché la minaccia israeliana non sarà neutralizzata. Per anni Israele ha bombardato, umiliato, assassinato scienziati, civili, militari iraniani con il silenzio complice di tutto l’Occidente. Ora il conto è arrivato. E non si tratta di una rappresaglia: è un capovolgimento degli equilibri. Israele non è più intoccabile. Non è più sicuro. Non è più dominante.
E questo cambia tutto. Gli Stati Uniti, incastrati in una strategia fallimentare, stanno correndo ai ripari. Ma i segnali che arrivano da Washington sono confusi, isterici, e soprattutto tardivi. La deterrenza è saltata. Il caos cresce. E mentre i generali israeliani si chiudono nei bunker, Netanyahu gira come un automa, cercando di nascondere il collasso. Ma il collasso c’è. È militare, politico e simbolico.
Nel frattempo, le piazze del mondo arabo e islamico esplodono di consenso verso Teheran. Hezbollah si muove, le milizie irachene si mobilitano, lo Yemen minaccia nuove azioni. L’intero asse della Resistenza si coordina in tempo reale con Teheran, pronto ad aprire nuovi fronti se Israele dovesse rispondere con ulteriori massacri.
Il rischio? Uno scenario apocalittico. Una guerra regionale totale, dal Libano alla Siria, dallo stretto di Hormuz fino al Mar Rosso. Un’estensione che potrebbe coinvolgere direttamente anche le potenze del blocco BRICS. Se Mosca e Pechino percepissero un’aggressione sistematica contro Teheran, il gioco cambierebbe. E diventerebbe globale.
È questa la realtà che si è aperta sotto gli occhi del mondo. Non è più tempo di equilibrio. Il mondo si sta dividendo in blocchi armati. E il prezzo di questo scivolamento è altissimo. Israele ha sbagliato calcolo. Ha pensato di poter continuare a colpire impunemente, protetta dagli Stati Uniti e dall’indifferenza europea. Ma ha scatenato una potenza che oggi ha la capacità, la volontà e il consenso per reagire in modo devastante.
Ecco allora il punto cruciale: chi fermerà l’apocalisse? Non sarà Israele, che oggi è in ginocchio. Non sarà l’America, che ha perso credibilità in ogni angolo del mondo. Forse, l’unico argine al disastro sarà proprio quel nuovo ordine multipolare che l’Occidente ha sempre disprezzato: il blocco che potrebbe frenare l’escalation solo se venisse finalmente ascoltato.
Intanto, mentre i droni colpiscono Tel Aviv e le sirene non smettono di suonare, l’illusione dell’invincibilità israeliana si sbriciola come un castello di sabbia sotto le onde della storia. E il mondo guarda, impaurito, incapace, colpevole.
Raimondo Schiavone