Blog di Raimondo Schiavone e amici

Le piazze di Gaza e dell’Italia: il Paese reale che il governo non vuole ascoltare

Le piazze italiane degli ultimi mesi hanno parlato chiaro: la solidarietà con il popolo palestinese, la condanna del massacro di Gaza e la richiesta di pace arrivano da un’Italia profonda, trasversale, che va ben oltre le appartenenze politiche.

E il rapporto Radar SWG (6–12 ottobre 2025) lo conferma: chi manifesta non è un minoranza ideologizzata, ma una parte ampia, adulta e consapevole del Paese.
Un Paese che ha ancora un cuore civile, e che chiede alla politica di non voltarsi dall’altra parte.

Secondo il sondaggio, tra i manifestanti prevalgono sì i giovani e gli elettori di sinistra, ma la metà ha più di 55 anni e quasi il 40% si colloca nel centro e centrodestra.
In altre parole, le piazze per Gaza e contro la guerra non sono “di parte”, ma espressione di un disagio collettivo che unisce generazioni, ceti sociali e orientamenti politici.
Tra i partecipanti, uomini e donne si equivalgono, e più della metà ha un lavoro stabile. Non è la protesta dei marginali, ma quella di chi lavora, paga le tasse, osserva e non accetta più il silenzio.

Dietro la mobilitazione, SWG individua due sentimenti dominanti: rabbia e sconforto. Rabbia per l’indifferenza con cui si assiste alla distruzione di Gaza, per le immagini di bambini sepolti sotto le macerie e per l’assenza di una reazione politica forte; sconforto per la convinzione che il potere, in Italia e in Europa, non rappresenti più la volontà popolare.

Le guerre – prima causa di malumore per il 50% degli intervistati – sono percepite come il simbolo di un mondo che ha perso bussola e umanità. E in questa percezione, il governo italiano ha mancato l’appuntamento con la storia:
nessuna voce autonoma, nessuna presa di posizione chiara contro la violenza israeliana, nessun gesto politico all’altezza del sentimento diffuso del Paese.

Mentre altri Paesi europei si sono progressivamente distaccati dalla linea più oltranzista di Tel Aviv, Roma è rimasta muta, intrappolata in una prudenza che sa di paura diplomatica e di sudditanza.
Il risultato è un fossato sempre più largo tra cittadini e governo: da una parte le piazze che chiedono un cessate il fuoco, il riconoscimento dello Stato di Palestina e una politica estera basata sui diritti umani; dall’altra un esecutivo che si limita a generiche dichiarazioni di “equilibrio” e “moderazione”, termini che oggi suonano come alibi per l’inazione.

SWG parla di “trasversalità della protesta”. Ma dietro questa parola si cela qualcosa di più: una presa di coscienza collettiva.
Per la prima volta dopo anni, la gente torna in strada non per difendere un interesse di categoria, ma per affermare un principio universale – la dignità di un popolo sotto occupazione e il diritto alla verità.

La politica non ha saputo interpretare questo segnale.
Non ha capito che, nel silenzio di Gaza, molti italiani rivedono il proprio senso di impotenza davanti alle ingiustizie globali e locali: la guerra, i salari bassi, la disuguaglianza, la crisi di rappresentanza.
Le piazze di questi mesi sono quindi il termometro di un Paese che, pur deluso, non si è rassegnato.
Un Paese che non chiede ideologie, ma umanità. E che nel sangue di Gaza ha ritrovato, forse per la prima volta dopo anni, la propria coscienza civile.

Finché il governo continuerà a ignorare questa voce, a minimizzarla o a derubricarla a fenomeno “di sinistra”, continuerà a perdere contatto con la realtà.
Perché le manifestazioni di questi mesi non sono solo contro la guerra: sono contro l’indifferenza.
E quando la società civile si muove contro l’indifferenza, la politica farebbe bene ad ascoltare.

Raimondo Schiavone 

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