Il Medio Oriente è sull’orlo del baratro, e la responsabilità storica di questa deriva va assegnata senza esitazioni a Israele e agli Stati Uniti. Con il bombardamento mirato su zone residenziali della Repubblica Islamica dell’Iran, l’uccisione premeditata di ufficiali e scienziati, e la continua provocazione verbale e militare, Tel Aviv ha scelto di sfidare il mondo intero, contando sulla copertura cieca e complice di Washington. Ma stavolta l’azzardo potrebbe costare caro. Potrebbe innescare un effetto domino di dimensioni globali. Perché se Teheran decidesse di rompere gli indugi e chiedere aiuto militare ai BRICS, si aprirebbe ufficialmente una nuova fase della storia mondiale: la fine dell’ordine unipolare dominato dagli Stati Uniti, e l’ingresso in una guerra fredda armata, spaccata tra blocchi e potenze nucleari.
Finora l’Iran ha mantenuto una posizione strategicamente ambigua. Ha aderito ufficialmente al gruppo BRICS a inizio 2024, ricevendo il benvenuto da Russia, Cina, Sudafrica, Brasile e India. Un ingresso accolto come gesto simbolico, un’adesione ideologica al fronte del “Sud globale”, un messaggio di sfida all’egemonia finanziaria e militare occidentale. Ma non si è trattato di un’adesione fine a sé stessa: dietro l’ingresso ci sono accordi concreti. L’Iran è coinvolto in patti energetici con Mosca e Pechino, esporta droni e know-how militare a supporto della Russia in Ucraina, e partecipa a manovre navali congiunte nell’Oceano Indiano.
Ciò che non è ancora avvenuto – e che potrebbe cambiare tutto – è una richiesta formale di aiuto militare ai BRICS. Non una semplice invocazione diplomatica, ma una domanda diretta: supporto armato, tecnologie di difesa avanzate, cyber-intelligence, copertura logistica. Se questa richiesta arrivasse, Russia e Cina avrebbero il pretesto per intervenire direttamente, almeno a livello strategico. Mosca potrebbe fornire all’Iran sistemi missilistici S-400, radar avanzati, addestratori militari. La Cina, da parte sua, potrebbe rafforzare la difesa elettronica iraniana, intervenire nel settore aerospaziale, dislocare navi da guerra nei porti di Bandar Abbas o nel Golfo di Oman, a scopo “dissuasivo”. Non ci sarebbe bisogno di truppe sul campo: basterebbero simboli concreti per lanciare un messaggio chiaro a Israele e all’Occidente.
A quel punto, la partita diventerebbe planetaria. E il primo effetto collaterale sarebbe l’Africa. Lì, dove da anni si combatte una guerra silenziosa tra influenze, basi, milizie, mercenari e programmi di cooperazione economica, si verificherebbe un rapido riallineamento. Paesi BRICS africani come Sudafrica, Etiopia e Egitto sarebbero costretti a prendere posizione. Il Sudafrica, già schierato politicamente contro il genocidio di Gaza, potrebbe offrire retrovie diplomatiche e porti logistici. L’Egitto, esasperato dall’atteggiamento israeliano a Rafah, potrebbe rompere definitivamente il fronte del silenzio arabo e spingere per un coordinamento militare regionale, mascherato da “difesa della sovranità islamica”. L’Iran, attraverso le sue reti religiose, economiche e militari, potrebbe estendere la sua influenza nei paesi africani a maggioranza sciita o filo-islamista: Sudan, Nigeria, Mali, Algeria.
Tutto questo accadrebbe mentre l’Europa si confermerebbe irrilevante, paralizzata dalla sua dipendenza da Washington e incapace di formulare una politica estera autonoma. Tajani, con la sua uscita sul presunto programma nucleare iraniano, dimostra quanto la classe dirigente europea sia ormai ridotta a megafono della propaganda israeliana. Eppure, nonostante la propaganda, il quadro che si sta delineando è molto chiaro: una spaccatura tra due blocchi mondiali. Da un lato il mondo anglosassone e i suoi alleati satelliti; dall’altro il fronte dei BRICS allargato, che si pone non come una semplice alternativa economica, ma come un vero e proprio blocco geopolitico antagonista, pronto a costruire un nuovo ordine globale.
L’errore di calcolo israeliano è evidente. Pensavano che l’Iran, stretto dalle sanzioni e isolato dai media occidentali, sarebbe rimasto sulla difensiva. Hanno sottovalutato non solo la resistenza del popolo iraniano – temprato da decenni di embargo e guerra – ma soprattutto il nuovo contesto globale. Oggi l’Iran non è più solo. Dietro di sé ha una rete di relazioni militari, tecnologiche e finanziarie che attraversano tutta l’Eurasia e una parte crescente dell’Africa. E se questi alleati decidessero di agire, anche solo per mostrare i muscoli, Israele si troverebbe di fronte non più a un nemico isolato, ma a un intero mondo che ha deciso di dire basta.
Così, l’azzardo israeliano si trasforma in un boomerang storico. E l’appoggio incondizionato di Washington potrebbe trascinare il pianeta verso un conflitto che non ha nulla a che vedere con l’autodifesa, ma tutto con l’arroganza. Il rischio è altissimo. E la sensazione è che la miccia sia già stata accesa.
Raimondo Schiavone