Blog di Raimondo Schiavone e amici

IL GIORNO DOPO – L’IRAN NON HA VINTO LA GUERRA, HA VINTO LA STORIA

Se questa è davvero la fine – come si affanna a dichiarare Netanyahu – allora è anche l’inizio di una nuova era. Il conflitto israelo-americano contro l’Iran, iniziato sotto la retorica della deterrenza e terminato con l’urlo silenzioso della resa, ha mostrato al mondo un dato inedito: l’impossibilità di vincere contro l’Iran senza distruggere se stessi. Un concetto chiave riemerge con chiarezza brutale: la parità distruttiva convenzionale è stata raggiunta.

Non è più il tempo dell’Iran isolato, né quello dell’Occidente che bombarda impunemente. Oggi Teheran colpisce, sopravvive e rilancia. Il suo programma missilistico continua, l’arricchimento dell’uranio prosegue indisturbato, e – soprattutto – la Repubblica Islamica è rimasta in piedi, intatta e rafforzata nell’immaginario dei suoi alleati e dei suoi nemici.

Gli attacchi iraniani contro Israele – come ha ammesso persino il corrispondente della BBC Farsi – sono stati senza precedenti. Le immagini di Tel Aviv e Beersheba colpite, dei soccorritori sotto le macerie, dei radar israeliani annientati nel deserto del Negev, hanno inciso un punto di non ritorno nella sicurezza percepita di Israele.

La guerra è costata a Tel Aviv un miliardo di dollari al giorno. Ma il danno non è solo economico: l’industria del turismo, colonna portante del PIL israeliano, è stata azzerata. L'immagine di potenza invincibile dello Stato ebraico, costruita in decenni con la complicità della propaganda occidentale, si è incrinata irreversibilmente. E nei bunker di Herzliya, i vertici dell’intelligence lo sanno benissimo.

Nel frattempo, il Qatar – scelto dagli Stati Uniti come interlocutore con Teheran – recita il ruolo di mediatore, ma la verità è che Washington non ha più margine di azione. È l’Iran che detta le condizioni. È l’Iran che, paradossalmente, ha evitato l’umiliazione degli Stati Uniti, offrendo loro una via d’uscita negoziale. L’Emiro riceve le telefonate, ma il messaggio è chiaro: non siete più voi a fare le regole.

Cosa significa tutto questo? Significa che l’architettura geopolitica dell’Occidente – fondata sull’intoccabilità di Israele – è entrata in crisi sistemica. La dottrina della guerra preventiva, del dominio assoluto, del controllo degli stretti e delle alleanze imposte, non è più sostenibile. Il mondo multipolare è già qui, con le sue regole di deterrenza simmetrica.

E per chi ancora pensa che gli Stati Uniti possano ribaltare il tavolo con l’arma nucleare, la risposta è implicita: l’atomica non è più un’opzione, è solo un bluff suicida. Lo sanno a Washington, lo sanno a Tel Aviv, lo sanno a Londra. Perché se oggi gli arsenali nucleari sono la garanzia di una fine condivisa, allora ogni conflitto che minacci di sfuggire al controllo diventa, inevitabilmente, improponibile.

L’Iran non ha vinto solo sul piano militare. Ha vinto sul piano simbolico, strategico e geopolitico. È uscito da questa guerra come potenza regionale riconosciuta de facto. Nonostante sanzioni, sabotaggi, assassinii, guerre per procura. Nonostante tutto.

E Israele, invece? Israele è stato per la prima volta nella sua storia colpito in modo diretto, sistemico, duraturo. Ha perso l’invisibilità, ha perso l’intoccabilità, ha perso l’effetto scenico delle sue minacce. E adesso deve convivere con una certezza nuova e terribile: se l’Iran vuole colpire, può farlo. E se lo fa, non c’è Iron Dome che tenga.

Il Medio Oriente non sarà più lo stesso. E neppure l’Occidente.

Raimondo Schiavone