CAGLIARI – Quando la Regione Sardegna annuncia a mezzo stampa che “non c’è stata alcuna inerzia” sul caso dell’ex Cartiera di Arbatax, la tentazione è quella di sgranare gli occhi, poi i documenti, e infine le risate. Eppure, l’assessore agli Enti Locali Francesco Spanedda, nel suo comunicato del 24 giugno, ci mette la faccia e difende l’operato della Regione. E fa bene. Non solo perché è nel suo diritto, ma anche perché, a differenza di molti predecessori, lui almeno c’è, risponde, dialoga e – novità assoluta – prova a fare qualcosa.
Quello che invece non fa onore alla narrazione istituzionale, è il tentativo maldestro di spacciare per virtù una storia di ventennale stallo. Le aree della ex Cartiera sono entrate ufficialmente nel patrimonio della Regione nel 2018. Ma anche prima erano sostanzialmente di sua proprietà, visto che la Sa.Ri.nd. S.r.l., poi messa in liquidazione, era controllata dalla SFIRS e quindi dalla stessa Regione. Quindi, sì, Spanedda è arrivato da appena un anno e si ritrova un’eredità incandescente, ma prima di parlare di “collaborazione massima” sarebbe utile ammettere che per quasi 20 anni è mancata la minima responsabilità politica.
Quell’area, che oggi torna a vivere grazie alla legittima e coraggiosa azione del Consorzio Industriale Provinciale dell’Ogliastra, è stata ostaggio dell’immobilismo politico e delle gelosie di competenza. La Regione annunciava, il Comune rinviava, la burocrazia intasava e gli investimenti promessi finivano in un limbo eterno, fatto di masterplan mai attuati, delibere senza seguito e bonifiche che esistono solo nei titoli di qualche bando.
Ma se a Cagliari si sono persi nel labirinto dell’autoconservazione, a Tortolì hanno scavato un fossato. Le varie amministrazioni comunali che si sono alternate – in particolare l’ultima, guidata dal sindaco Marcello Ladu – hanno fatto di tutto perché le aree restassero nel limbo, opponendosi di fatto a ogni tentativo concreto di riqualificazione. Quando il Consorzio ha deciso, in assenza di azioni coordinate, di attivare il procedimento espropriativo per prendere finalmente possesso dei terreni e avviare una fase nuova, il Comune ha risposto con una diffida tragicomica, come se si potesse fermare il cambiamento con un timbro protocollato.
Il Consiglio di Stato ha ristabilito l’ordine delle cose, sostituendosi di fatto alla politica. Perché è chiaro: in Sardegna oggi i piani di sviluppo non si approvano in Consiglio regionale, si firmano nelle aule di giustizia. È grazie alla sentenza del 14 maggio se quelle aree, abbandonate, degradate e trasformate in discariche, saranno ora restituite all’impresa e al lavoro.
Che sia chiaro: nessuno mette in discussione l’impegno dell’assessore Spanedda nel voler ricucire i fili spezzati. Anzi, gliene va dato merito. Ma servirebbe anche un sussulto di dignità da parte della politica sarda nel riconoscere che il problema non nasce nel 2024, ma è figlio di due decenni di incompetenza, rinvii, scaricabarile e assenza totale di visione.
Oggi si parla di dialogo? Benissimo. Ma sarebbe ancora meglio se si parlasse anche di verità. Quella di una classe dirigente – a Cagliari come a Tortolì – che ha avuto tutte le possibilità e non ne ha colta nessuna. Ora che il Consorzio è tornato in possesso delle aree e ha in mano legittimità giuridica e strumenti operativi, si apra pure il dialogo. Ma sia un dialogo sincero. E magari, stavolta, si lavori davvero per il territorio. Non solo per la faccia.