Blog di Raimondo Schiavone e amici

Dalla Signora alla Cialtronata: la Juventus in ginocchio davanti a Trump”

C’è qualcosa di profondamente stonato – e un po’ imbarazzante – nel vedere la Juventus, la più titolata società italiana, prestarsi alla passerella grottesca di un personaggio come Donald Trump. Non bastavano i patemi sportivi, le altalene dirigenziali, la nostalgia per i fasti dell’Avvocato: ora anche la genuflessione internazionale, per giunta davanti a chi è passato alla storia per una valanga di fake news, cappellini rossi e proclami da reality show geopolitico.

La scena è di quelle che resteranno negli annali, purtroppo non per meriti sportivi: John Elkann, con la compostezza forzata di chi sa di star calcando il palcoscenico sbagliato, ha aperto le porte alla retorica trumpiana, tra salamelecchi diplomatici, sorrisi plastificati e frasi di circostanza degne di un incontro tra un venditore di pentole e un amministratore di condominio. La Juventus – e con lei un pezzo dell’Italia che fu industriale, sportiva, influente – ridotta a comparsa nel teatrino di un uomo che fa della guerra uno slogan, della pace un’interferenza, e dell’arroganza uno stile di vita.

Verrebbe da chiedersi: “Ma dove siamo finiti?” Ma la risposta è fin troppo chiara: in un tempo in cui le grandi famiglie imprenditoriali italiane sembrano più attente a barcamenarsi nel risiko geopolitico che a costruire qualcosa di credibile nel calcio e nell'economia reale.

E pensare che, una volta, la Juventus era l’eleganza. L’understatement torinese, il rigore sabaudo, il mito dell’Avvocato. Oggi, invece, la Juventus è costretta a fare da tappeto rosso per uno che, se solo potesse, trasformerebbe il centrocampo in un campo di battaglia e il VAR in un'arma nucleare.

Gli juventini veri – quelli con memoria lunga, quelli che ricordano Platini con la sigaretta, Del Piero con lo sguardo fiero, Boniperti con la cravatta e l’intransigenza – si sono sentiti un po’ sporchi, un po’ venduti. Perché c'è una differenza enorme tra ospitare e servire. E stavolta, cari amici bianconeri, sembrava proprio servilismo.

E in mezzo a questo disastro d’immagine, con Elkann intento a inseguire fantomatiche influenze atlantiche e globali, una voce in sottofondo, quasi fastidiosa ma forse lucida, si fa largo tra i tifosi: “Ma alla fine aveva ragione Lapo…”

Sì, proprio lui, il genio fragile, il re del marketing estremo, l’unico che forse avrebbe avuto il coraggio di dire a Trump: “Bro, ma che stai a dì?” E magari gli avrebbe regalato una 500 tatuata invece di una maglia della Juve. Con un po’ di ironia, almeno. Con un po’ di dignità.

Chissà, forse l’Avvocato si sta davvero rigirando nella tomba. E magari sta sussurrando: “Meglio un errore di cuore che un’alleanza col ridicolo.”

Raimondo Schiavone