Blog di Raimondo Schiavone e amici

Arrendersi non è sempre un segno di sconfitta

Viviamo in una società che ci impone la retorica della forza, dell’ostinazione, della vittoria a ogni costo. “Non mollare mai” è diventato il mantra di un’epoca che confonde la resistenza con la cecità, la determinazione con l’orgoglio. Eppure, esiste un tempo in cui arrendersi non è una resa al fallimento, ma un atto di consapevolezza, di forza interiore, di lucidità.

Arrendersi non significa rinunciare a se stessi, ma scegliere di non consumarsi in battaglie inutili. È riconoscere che non tutto si può controllare, che non ogni cosa deve essere vinta. A volte arrendersi è il modo più autentico per proteggere la propria pace, la propria salute mentale, la propria dignità.

Chi si arrende con consapevolezza non lo fa per debolezza, ma perché ha compreso che la vita non è una continua gara contro gli altri o contro se stessi. Ci si può arrendere a un amore che non esiste più, a un sogno che non ci appartiene più, a un percorso che ha esaurito la sua direzione. Non per sconfitta, ma per rispetto verso la verità.

La forza, spesso, sta proprio nel fermarsi. Nel dire “basta” quando il mondo ci spinge a continuare, nel chiudere una porta che ci imprigiona invece di aprirne cento che non portano da nessuna parte. Arrendersi non è un atto di codardia, ma un gesto di intelligenza emotiva. È la capacità di distinguere quando una lotta ci costruisce e quando, invece, ci distrugge.

In fondo, anche la natura insegna che la resa fa parte dell’equilibrio. L’albero che piega i rami davanti al vento non crolla: sopravvive. La marea che si ritira non sparisce: torna. Allo stesso modo, l’uomo che si arrende non muore: si rinnova.

Arrendersi può essere una forma di rinascita. Un modo per cambiare direzione, per ricominciare da se stessi, per riconnettersi con ciò che davvero conta. È la decisione di non sprecare più energia in ciò che non restituisce nulla, e di credere che la vera vittoria sia la serenità, non il trofeo.

E forse oggi, in questa logica profonda e dolorosa, possiamo leggere anche la vicenda del *popolo palestinese*. Dopo anni di bombardamenti, assedi, umiliazioni e morte, molti si sono arresi. Non per sconfitta, ma per salvare ciò che resta della loro umanità, per proteggere i figli, per continuare a credere che un giorno la giustizia potrà tornare a camminare sulle macerie della loro terra. Si sono arresi per sopravvivere, per conservare la speranza, per trasformare la resa in un seme di futuro.

Perché anche quando il mondo li ha lasciati soli, i palestinesi non hanno smesso di credere che arrendersi, a volte, è solo un modo per continuare a esistere.
E che dentro quella fragile, silenziosa resa, vive ancora la forza più grande di tutte: la speranza.

Raimondo Schiavone

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